Roma – Sono i contenuti generati dagli utenti a conquistarsi la maggior parte del traffico su YouTube. Questo è quanto emerge da uno studio di Vidmeter, una sorta di Auditel che monitora le piattaforme di sharing online: sono meno di uno su dieci i video postati su YouTube senza il permesso degli aventi diritto. E i video pirata, checché ne dicano le major, attraggono soltanto il sei per cento del pubblico.
Dati che confermano il risultato di una recente indagine HitWise. Il gruppo Viacom, uno dei più accaniti diramatori di takedown notice, totalizza il 40 per cento dei video rimossi e risulta il produttore dei contenuti più apprezzati dal pubblico, guadagnandosi il 2,37 per cento delle visite degli utenti YouTube. Si tratta in particolare di video musicali, seguiti da spezzoni di celebri show televisivi, quali South Park. Meno apprezzati i video di lunga durata.
Lo studio mette in luce come le piattaforme di sharing non costituiscano una reale minaccia per l’industria tradizionale dei contenuti sul fronte della pirateria. Non sorprende, quindi, che le major non abbiano apprezzato il rapporto, accusato di non tener conto del pesante affondo che le piattaforme di sharing causerebbero al loro business.
Le media company, riporta Reuters, sostengono che Vidmeter avrebbe sottostimato l’entità dell’incessante replicarsi di copie delle copie e non si baserebbe su un campione casuale, trascurando la long tail e coprendo solo i 6725 clip più visti. Viacom si schiera in prima linea, in vista della denuncia e delle richieste di risarcimento miliardario intentate nei confronti di Google, alle quali non sembra intenzionata a rinunciare.
L’industria dell’intrattenimento, però, sembra non osservare il fenomeno con lungimiranza: i dati emersi dallo studio Vidmeter rivelano che i contenuti generati dagli utenti potrebbero soppiantare i contenuti tradizionali. E se non è possibile sostenere con certezza che, a breve termine, la NetTV possa minacciare la tv tradizionale, emerge da questo studio come la NetTV potrebbe finire per ruotare attorno a contenuti generati dagli utenti, piuttosto che fondarsi sul successo di partnership come quella tra BBC e YouTube.
Se la sopravvivenza dei contenuti tradizionali potrebbe essere a rischio in un futuro lontano, è stato annunciato, per la gioia dell’industria dei contenuti meno lungimirante, l’avvento di ACID (Automatic Copyright Infringement Detection). ACID potrebbe risolvere la questione che alle media company preme di più: la pirateria dei loro prodotti.
Sviluppato da una divisione di Autonomy, ACID “guarderà i video come fosse un essere umano”, promette Mike Lynch, CEO della società. Analogamente al recente “motore” Ikena Copyright, ACID analizza i file dei produttori di contenuti, li classifica, e batte le piattaforme alla ricerca di pattern corrispondenti, individuabili in base a diversi parametri, sia a livello video, sia a livello audio. A nulla servirà apporre ai file titoli diversi, o alterare i colori dell’immagine, sostiene il produttore, ACID scoverà tutte le copie non autorizzate.
ACID potrebbe essere utilizzato dalle piattaforme di sharing come filtro o potrebbe agire come un sistema di watermarking, punto di partenza per la negoziazione di accordi tra piattaforme e produttori di contenuti. Ora sta ai siti e alle piattaforme di sharing decidere di implementare ACID, annuncia Lynch.
Considerati però i risultati emersi dallo studio di Vidmeter, considerato il presunto scarso interesse nutrito dagli utenti nei confronti dei contenuti tradizionali depositati sulle piattaforme di sharing, l’implementazione di ACID potrebbe rivelarsi di impatto poco significativo, almeno sul lungo termine. Il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale potrebbe non coincidere con il trionfo dell’industria dell’intrattenimento.
Gaia Bottà