Taglio del 15% dell’organico su scala globale, chiusura di cinque sedi nel mondo (tra le quali Milano), cessione degli asset non strategici: questi sono solo alcuni dei punti chiave del piano di rilancio annunciato dall’AD di Yahoo, Marissa Mayer, subito dopo la presentazione dei dati finanziari dell’ultima trimestrale, che hanno portato alla luce tutte le difficoltà della società californiana.
“Quello che annunciamo è un piano strategico che riteniamo accelererà la trasformazione di Yahoo” afferma Mayer, sottolineando che il piano “richiede ampi cambiamenti nei prodotti e nelle risorse e renderà più brillante il nostro futuro, migliorando la nostra competitività e il nostro appeal per i clienti, gli inserzionisti e i partner”. Il portale ha segnato negli ultimi tre mesi del 2015 una perdita netta di 4,4 mld di dollari, conseguenza di una svalutazione da 4,46 mld dell’avviamento di Tumblr e di altri asset, su ricavi in crescita dell’1,6% a 1,27 mld. Al netto di tutti gli oneri, l’utile per azione è sceso da 30 a 13 centesimi di dollaro. Entro fine anno la società di Sunnyvale punta a ricomprendere circa 9 mila dipendenti, molti di meno rispetto ai 10.700 delle ultime stime (erano 14mila nel 2012) e poco meno di mille lavoratori a contratto. Il piano, che prevede anche la chiusura di alcuni uffici in cinque differenti sedi nel mondo (Madrid, Dubai, Città del Messico, Buenos Aires e Milano) è teso a ridurre i costi operativi di 400 mln di dollari l’anno. Yahoo è deciso, inoltre, a valutare la cessione di attività non strategiche (come brevetti, proprietà immobiliari e altri asset) per un incasso stimato, per fine 2016, tra 1 e 3 mld di dollari. A questo punto ci si chiede se il piano su larga scala saprà accontentare l’investitore attivista Starboard Value che, nelle ultime settimane, aveva richiesto a gran voce le dimissioni dell’amministratore delegato Marissa Mayer e la cessione delle attività su Internet. Nel contempo Yahoo annuncia un accordo con Mediaset, che per i prossimi tre anni agirà come rivenditore di tutta l’offerta pubblicitaria del gruppo in Italia, che comprende display, native, video e content marketing. Dopo 18 anni, quindi, la multinazionale made in Usa rinuncia ad avere una presenza diretta nel nostro Paese. (S.F. per NL)