Gabriele Niola
Roma – Quando Michael Herskovitz ha saputo dalla ABC che la serie televisiva che aveva scritto e di cui aveva curato la produzione e le riprese non sarebbe mai andata in onda non l’ha presa bene, e ha definito l’idea di farla girare in rete come ripiego, un “patto col diavolo”. Mai avrebbe creduto possibile che, una volta finita in rete, la sua serie si sarebbe distinta al punto da essere nuovamente ricomprata da un grosso network.
Né lui né il compagno Edward Zwick infatti credevano nelle potenzialità di internet ma evidentemente si sono fatti consigliare bene, perché non hanno semplicemente tagliato i lunghi episodi televisivi dividendoli in tronconi da 7-9 minuti, al contrario hanno creato intorno alle vicende dei protagonisti ventenni un ambiente con la forma di social network in cui gli utenti potessero interagire. Un social network che poi è lo stesso di cui nella finzione della serie usufruisce la protagonista, Dylan.
Il successo è arrivato inaspettato e violento: 6 milioni di utenti in totale si sono connessi a Quarterlife.com e (cosa che conta molto di più in rete) hanno frequentato assiduamente il social network, generando introiti pubblicitari.
I motivi del successo sono stati molti, dal target mirato (la serie racconta delle disavventure professionali e amorose di ragazzi con aspirazioni di lavoro intellettuale e vita sentimentale turbolenta), all’elevatissima qualità di realizzazione (alta anche per gli standard televisivi e dunque figuriamoci per quelli della rete), fino ad una trama che, stranamente, si è saputa adattare molto bene al taglio più breve.
A quel punto, la NBC ha voluto acquistare in blocco la serie per trasmetterla sul proprio canale televisivo. Una decisione che è stata senz’altro motivata anche dalla fiducia ispirata dalla figura di Herskovitz, che a fine anni ottanta e metà anni novanta ha partorito ThirtySomething e My-So-Called-Life, due serie televisive di grandissimo successo negli Stati Uniti.
Il primo episodio con il suo montaggio e nella lunghezza originale è dunque andato in onda la settimana scorsa sulla NBC e, contro ogni aspettativa, l’esito è stato disastroso, complice anche un palinsesto non favorevole e il fatto che il target più d’elezione della serie già l’aveva vista online. Ora la serie sarà dirottata su Bravo, un canale via cavo sempre di proprietà della NBC fino a fine programmazione.
Sembra dunque che Quarterlife possa avere successo solo online, che la struttura più breve (insolitamente calzante nonostante gli episodi non siano stati girati pensando a così tanti spezzettamenti), la fruizione on demand e tutto il contorno di social networking e conversazione che si genera su ogni episodio siano una condizione fondamentale per lo sviluppo e il mantenimento dell’interesse.
Eppure Quarterlife non è assolutamente uno show rappresentativo di ciò che viene prodotto per internet, solitamente le web serie che arrivano al successo, i viral video, ma anche gli esperimenti audiovisuali più interessanti per la rete sono caratterizzati da uno stile molto più arrembante, da un ritmo decisamente più elevato e soprattutto da una sostanziale identità tra fruitori e produttori.
Il web video, cioè tutto il materiale video prodotto esclusivamente pensando ad un fruizione in rete, è al momento in una fase pionieristica nella quale i prodotti migliori non si distinguono tanto per la qualità di realizzazione né per le idee messe in campo ma per come riescono a trovare la propria nicchia, la propria porzione di coda lunga.
Quartelife invece è un prodotto nettamente più generalista, che guarda ad un pubblico che è sì di ragazzi ma non solo, che non cerca il loro consenso nella maniera più rapida ma che, come tutte le serie tv, ha bisogno di tempo e puntate per accattivarsi il favore dello spettatore. È allora probabile ipotizzare che il pubblico di internet stia maturando e che la maggiore qualità di realizzazione che Quarterlife mette in campo (una miglior recitazione, miglior fotografia, miglior sceneggiatura ecc. ecc.) a questo punto possa cominciare a pagare.
E guardando in prospettiva, con la sempre crescente possibilità di connessione del televisore ad internet (sia attraverso cavi che escono dal pc, sia attraverso media center o device come la AppleTV) è probabile che finalmente la fruizione dalla rete diventi anch’essa da divano e non più da scrivania, restituendo un’attenzione maggiore alla cura del prodotto e una richiesta di qualità più elevata. A fare la differenza però è probabile che sarà ancora e a lungo la capacità di intercettare i gusti delle nicchie