L’informazione è, per definizione, l’insieme di dati, correlati tra loro, con cui un’idea (o un fatto) prende forma ed è comunicata. Descrizione perfetta per il web.
I figli di Steve Jobs non erano autorizzati a usare l’iPad. Quelli di Bill Gates avevano accesso al personal computer in tempi contingentati. Ewan Williams, fondatore di Blogger, Twitter e Medium, non dà il tablet ai figli. Secondo Adan Alter, quei grandi della tecnologia ne conoscono anche i difetti e i pericoli.
Le piattaforme più popolari online sono progettate in modo da attirare l’attenzione delle persone per indurla a usare quegli strumenti il più possibile.
Lo smartphone è la tecnologia persuasiva per eccellenza. Ormai la gente guarda lo schermo del telefono anche 150 volte al giorno, dicono da Facebook.
E’ una dipendenza? La definizione è tutta da discutere in sedi più autorevoli di questa. Ma le tecnologie persuasive sono fatte in modo di creare aspettative di piacere quando ci si accinge a usarle. Le piattaforme sociali creano aspettative: gli utenti non vedono l’ora di sapere se hanno ottenuto qualche like, se ci sono commenti o condivisioni ai loro post, se gli hashtag che hanno lanciato sono diventati popolari… La formula vincente: sono facili da usare e intercettano le motivazioni degli utenti, creando occasioni specifiche per farsi usare in continuazione.
Il progetto di persuasione (che è ovviamente una forma che assume “l’informazione”) è composto da elementi ben chiari ai designer. Un comportamento da ottenere, un pubblico da convincere, un’analisi su che cosa impedisce quel comportamento, una soluzione (preferibilmente già testata) che ottiene quel comportamento…
Il percorso per convincere le persone è tanto chiaro per i designer quanto apparentemente sconosciuto per la maggior parte della gente. Una volta ottenuto un iniziale successo, il lock-in tecnologico è aumentato dal lock in sociale (tutti gli amici e conoscenti sono sulla piattaforma) e il risultato è una tecnologia attraente, piacevole, difficile da sostituire.
Un successo per la piattaforma si può però trasformare in un problema per gli utenti che non riescono a tenere un atteggiamento equilibrato nei confronti dello strumento.
Nel 2007, quando la dimensione sociale della rete era ancora prevalentemente espressa nell’uso dei blog, internet (quale piattaforma atta ad ospitare l’informazione) si confrontava alla televisione e si palesava capace di ridurre la solitudine, alimentando la speranza che le persone potessero acquisire una consapevolezza dei motivi autentici della felicità: qualità della socialità, qualità dell’ambiente, qualità della cultura. Nessun medium peraltro può essere confuso con un generatore di felicità. E certamente anche internet lo dimostra.
Nella mediasfera, l’equilibrio ecologico è compromesso dalle esternalità negative delle piattaforme oggi prevalenti che funzionano come monoculture dedicate a coltivare attenzione per rivenderla agli inserzionisti pubblicitari. Lo spazio mediatico definito da queste monoculture può essere facilmente attaccato da parassiti chiamati oggi “fake news”, ma che da sempre possono essere definiti generatori di “cavolate” senza qualità.
Una nuova consapevolezza degli effetti negativi della monocultura delle piattaforme che non si occupano della qualità dell’informazione è necessaria per la salute individuale e per l’equilibrio generale nell’ecologia dei media. Ci vorrà un percorso simile a quello che è stato compiuto dalle società industriali per arrivare alla consapevolezza del valore dell’ambiente pulito e della cura del corpo. Ma questa volta dovrà essere un percorso più breve: la conquista di una maggiore qualità dell’informazione è sempre più urgente. La libertà e la felicità sono collegate alla nostra capacità di fare un salto di consapevolezza e passare all’azione: migliorando la dieta mediatica e salvaguardando l’ambiente mediatico con l’introduzione di nuove piattaforme meno banalizzanti. (P.E.B. per NL)