Il mondo pubblicitario si muove sempre di più verso quello che sembra il nuovo Eldorado delle inserzioni, il programmatic advertising, cioè la compravendita automatizzata di spazi pubblicitari online tramite piattaforme informatiche. Un intervento normativo, o meglio due, dell’UE potrebbero però minare la colonna portante del programmatic advertising: la raccolta e l’utilizzazione dei dati di navigazione dei consumatori.
Il 25 maggio 2018, infatti, entrerà in vigore il General data protection regulation (Gdpr) ossia il regolamento europeo (2016/679) sul trattamento dei dati personali, contenente una serie di principi sull’”opt-in”, cioè sull’obbligo di richiesta preventiva all’utente del consenso per il tracciamento del proprio comportamento ai fini della pubblicità personalizzata. Assieme a questo provvedimento, è intenzione della Commissione europea varare l’aggiornamento del regolamento sull’ ePrivacy che estenderebbe i principi del Gdpr all’online.
In questo modo, i gestori di tutti i siti web sarebbero obbligati a richiedere il consenso al tracciamento dei dati di navigazione agli utenti in maniera espressa ed esplicita: dei semplici cookies non saranno più idonei allo scopo, considerato che sono in molti casi considerati strumenti di “soft opt-in” per cui è sufficiente un consenso implicito, talvolta concesso con il semplice scroll della pagina web; saranno invece necessari veri e propri banner, magari con riferimento alla normativa europea e casella di spunta per prestare il consenso, questo potrebbe rendere più farraginosa la navigazione e rallenterebbe le operazioni di personalizzazione della pubblicità o addirittura scoraggiare l’utente a proseguire nella navigazione.
Il vero spauracchio degli inserzionisti, però, è un altro punto della normativa ePrivacy che, come illustra Daniele Sensini (in foto), direttore generale di Iab Italia (sezione italiana dell’associazione internazionale dedicata alla pubblicità digitale), “permette che il consenso possa essere dato anche attraverso le impostazioni del browser, il programma usato per navigare. Questo significa che l’utente può decidere a priori di bloccare (o accettare) i cookies che determinano la profilazione. Una scelta, in questo caso, che non sarebbe presa di volta in volta con minore chance di cambiare idea al momento”. In questo senso, del resto, Google era già al lavoro per lanciare un Ad block integrato a Chrome, ma se la normativa ePrivacy fosse confermata sul punto, il browser potrebbe offrire funzioni che vanno ben oltre il semplice blocco di banner fuori standard.
Preoccupatissimo il presidente di Iab Carlo Noseda (in foto): “le nuove regolamentazioni mettono a rischio la salute della pubblicità digitale e quella dell’intero settore dei media con un risvolto nettamente negativo sull’indotto, sull’occupazione e, di conseguenza, sull’intera economia digitale”.
C’è da dire che il problema interesserebbe poco i siti a pagamento, ad esempio quelli delle testate giornalistiche principali, perché da un lato potrebbero
Il punto fondamentale della questione lo individua ancora Sensini: “a fronte di una quantità di traffico enorme, come faccio a usare le inserzioni in maniera più attenta? Se non ho i dati dell’utente come faccio a capire se erogare una o l’altra pubblicità? – e poi sui cookies, che attualmente offrono la possibilità di profilazione dell’utente, aggiunge – i cookies sono demonizzati spesso senza motivo e per contro sono molto utili per una buona esperienza dell’utente”.
Da un lato ci sono le esigenze dei pubblicitari e un’esperienza di navigazione che tiene conto degli interessi di chi naviga, dall’altro lato la tutela della privacy dell’utente: la soluzione, ancora una volta, è un bilanciamento di interessi. (V.D. per NL)