La pubblicità occulta ai tempi del social media sfrutta il veicolo costituito dai profili degli influencer: le star dei social network pubblicano foto e video in cui mostrano prodotti di ogni tipo, con il marchio bene in vista, ma senza alcuna dichiarazione esplicita del rapporto di natura commerciale tra il brand e l’influencer; i contenuti raggiungono milioni di followers, pubblico fedele e soggetto all’influenza del comportamento dei propri beniamini. Negli Stati uniti si sta cercando di far fronte al problema: la Federal Trade Commission (Ftc) ha emanato un richiamo scritto, rivolto a 45 celebrità del web ed altrettanti brand da queste promossi in maniera occulta, affinché rispettino le Endorsement Guides che prevedono –tra l’altro – che venga sempre esplicitato il rapporto tra brand e sponsor. Queste linee guida, nate per regolamentare la pubblicità sui media tradizionali, devono essere estese ai social network in ragione del fatto che questi ultimi ormai rappresentano il canale pubblicitario prediletto. La Commissione ha puntualizzato che non sussiste pubblicità occulta qualora si postino contenuti inerenti a dei prodotti senza alcun compenso in denaro o altri beni, ma se invece c’è una “connessione materiale” tra chi pubblicizza il prodotto e chi lo produce, allora tale connessione deve essere “chiara e adeguatamente nota”: deve, cioè, essere esplicitata per iscritto nelle prime righe nel post, con un linguaggio non ambiguo e magari identificata tramite parole chiave e hashtag (ad esempio #sp, cioè sponsored partner, o “Thanks” seguito dal nome del brand). Tra le web star cui la Ftc si è rivolta ci sono Naomi Campbell, Heidi Klum, Victoria Beckham, Jennifer Lopez e anche Valentina Vignali, cestista e modella italiana “sponsor occulta” di un integratore per capelli. Anche nell’elenco dei brand che hanno ricevuto il richiamo spicca un nome italiano attualmente molto chiacchierato, quello della Chiara Ferragni Collection (co-fondata dalla fashion blogger omonima assieme a Riccardo Pozzoli) i cui prodotti sono stati pubblicizzati nei post della blogger statunitense Lucy Hale. In Italia non esiste un organismo che possa esercitare su brand e influencer le stesse pressioni dell’Ftc: da un lato, l’AgCom non ha competenza sui social network perché la Direttiva servizi e media audiovisivi – che ne disciplina i poteri – comprende solo editori di carta stampata e televisione; dall’altro lato l’Antitrust –organo che avrebbe competenza sul punto – può intervenire solo su casi concreti, cioè se interpellato tramite ricorso. Sebbene il commissario AgCom Antonio Martusciello auspichi l’apertura di un tavolo di discussione tra l’autorità, operatori e associazioni di consumatori per giungere ad una soluzione fondata sull’autoregolamentazione, l’unica strada attualmente praticabile sembrerebbe proprio il contenzioso: l’Unione Nazionale consumatori ha presentato un ricorso all’Antitrust chiedendo di accertare la legittimità del fenomeno della pubblicità diffusa sui social network tramite gli influencer, definito nell’esposto come “product placement camuffato”. (V.D. per NL)