E’ cresciuto del 21% il mercato discografico nel 2015; i supporti fisici in leggero calo ma ancora producono la maggior parte del fatturato. Sul digitale in discesa i download e boom dello streaming, soprattutto a pagamento.
E’ cresciuto del 21% nel 2015 il mercato discografico italiano, almeno stando ai dati raccolti Deloitte per la FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana). Il fatturato totale si attesta intorno ai 148 mln di euro, cifra raccolta per la maggior parte dal comparto fisico che, con i suoi 88 mln circa, rappresenta il 59% del settore, con il restante 41%, pari a 60 mln circa, prodotto dal digitale. Per quello che riguarda i supporti fisici, si registra una crescita del 17% trainata soprattutto dalla musica italiana; fra questi, i CD raccolgono il 96% del segmento, ma il 4% collezionato dai vinili rappresenta un aumento del 56% rispetto al 2014, confermando la loro crescente affermazione come prodotto finalizzato alla collezione più che all’utilizzo vero e proprio. Anche se ancora il digitale non ha superato il mercato fisico, come già avvenuto in altri paesi (lo scorso anno, negli Stati Uniti, pesava per il 68% del mercato), la tendenza si mostra comunque allineata con quella estera, soltanto più lenta; quest’anno la migrazione si quantifica in 3 punti percentuali sul fatturato del mercato. Interessante anche la scelta dei metodi di fruizione di musica sugli apparecchi di ultima generazione: lo streaming diventa sempre più forte (+54% e 41,2 mln), rispettando le abitudini che l’utenza sta facendo proprie anche in altri settori come la televisione, mentre il download perde terreno (-5% e 19 mln). E se è vero che il settore discografico abbia la particolarità di anticipare le tendenze degli altri mercati dei media (come già era accaduto con fenomeni quali la pirateria) l’abitudine crescente al consumo online dovrebbe far drizzare le antenne a chi opera in questi settori; da tenere in considerazione per lo stesso motivo, inoltre, la capacità dello streaming pay di generare quasi il doppio dei ricavi dello streaming gratuito e finanziato dalla pubblicità, oltre all’importante tasso di crescita (+63% contro un +38%). Sembra quindi che gli utenti preferiscano sottoscrivere un abbonamento piuttosto che essere esposti alle campagne pubblicitarie, segno che probabilmente player come YouTube o Spotify, che hanno deciso di mettere il piede in due staffe, non hanno per niente sbagliato il tiro. Insomma, le maggiori tendenze del mercato discografico sono tutti argomenti che sono oggi dibattuti negli altri comparti mediatici; dagli abbonamenti per i giornali online piuttosto che la diffusione libera finanziata dalla pubblicità al peso dei servizi SVOD nel mercato televisivo, gli altri comparti mediatici sembrano prendere la scia di questo settore, al quale forse si dovrebbe guardare con maggiore attenzione per il prossimo futuro. (E.V. per NL)