Una ricerca svolta da Erin Duffy della Georgetown University e da Becca Schwartz dell’Università di Oxford su New Media & Society, mostra come le professioni legate ai social media, a differenza di quelle tecniche, siano ancora considerate lavori da donna.
Ciò in quanto, analizzando circa 150 annunci per Social Media Manager nei maggiori siti, occorrerebbero sensibilità e gestione emozionale che di solito vengono associate al mondo femminile.
“The Pink Ghetto” o “Il ghetto rosa” è il nome dell’equazione per la quale se lavori nel Social Media Management, con molta probabilità sei una donna.
Se infatti le aziende che vanno in cerca di ruoli tecnici tendono a compilare annunci che richiamano un immaginario dominante maschile, per quanto riguarda l’area di gestione dei rapporti sui social e la loro strategia, l’economia digitale sembra essere in mano all’universo femminile.
Secondo l’analisi di Wired.com (rivista mensile statunitense con sede in California, nota come “La Bibbia di Internet”, che tratta tematiche di carattere tecnologico e di come queste influenzino la cultura, l’economia, la politica e la vita quotidiana), una percentuale che si aggira tra il 70 e l’80% dei lavoratori dei social media si è identificata come appartenente al genere femminile.
Il processo sopra citato, che individua tra 150 annunci le donne come le migliori candidate, sarebbe legato, secondo le studiose, a una “caratteristica invisibilità, retribuzione inferiore e status marginale” della professione all’interno dell’industria tecnologica. La coppia cita le statistiche di Payscale (portale che dà informazioni sugli stipendi delle attività lavorative nel mondo), secondo cui la paga media per uno specialista di social media sarebbe di 41mila dollari. Del resto, molti annunci non descrivono le mansioni richieste come un lavoro, ma come divertenti hobby.
Erin Duffy e Becca Schwartz suggeriscono che l’afflusso di donne a questi ruoli sia la ragione stessa per cui i salari e lo status restino bassi.
Storicamente, quando le donne fecero il loro debutto nell’ambito del giornalismo e delle pubbliche relazioni, a partire dalla fine del XIX secolo, la società cominciò a sottostimare quei tipi di lavoro. Allo stesso modo oggi, continua, quando le aziende usano un linguaggio al femminile nel reclutamento, in quanto sinonimo di svalutazione della natura del lavoro.
In Cina, alcuni giganti della tecnologia sono stati perfino accusati di sessismo nella compilazione degli annunci per la ricerca del personale: in quel caso tuttavia, non si cercavano solo caratteristiche comportamentali che si tende attribuire alle donne, ma si tentare di trovare espressamente una certa gradevolezza “da dea”.
Resta un tratto comune non indifferente, però: la disuguaglianza in busta paga. (E.L. per NL)