Lo shopping sfrenato dei colossi come Facebook, Microsoft, Apple e Google piace agli azionisti: i rischi ci sono ma, per non venire meno alle aspettative di mercato, non è possibile restare immobili.
In un universo in continua trasformazione e in perpetuo movimento non è consentito restare fermi. Sarà per questo motivo che l’ondata di investimenti sta via via crescendo, espandendosi ai più svariati settori? E sarà sempre per lo stesso motivo che un social network decide di comprare un servizio di messaggistica istantanea, un colosso informatico si porta a casa un sensore da impronte digitali e un motore di ricerca acquista una società che rende smart il termostato di casa? Mark Zuckenberg ha così spiegato le ultime acquisizioni di Instagram, WhatsApp e Oculus Vr: “Ci saranno sempre più piattaforme e chi le controllerà riuscirà a beneficiare sia finanziariamente che strategicamente”. Facebook, il servizio di rete sociale nato nel febbraio 2004, allarga i suoi orizzonti: e lo stesso si prepara a fare anche Twitter, che sta aggiustando il terreno per la quotazione e per convincere gli investitori (nel 2013 ha realizzato i maggiori accordi, portandosi a casa tre società per potenziare i servizi già offerti, alla cifra di mezzo miliardo di dollari). Amazon, la società fondata nel 1994 da Jeff Bezos, presente nel mercato azionario dal 1997, sta adottando una strategia di larghe vedute, investendo sul cloud, sul mobile e sullo streaming video – come ricorderanno i lettori il colosso ha lanciato gli scorsi giorni Fire Tv, il set-top-box che permette di accedere dal proprio televisore a numerosi servizi di streaming e gaming -. Che dire dei tre grandi giganti hi tech Microsoft, Google e Apple? Le operazioni di acquisto effettuate dai tre big risalgono agli anni a cavallo tra il 2006 e il 2008; l’esordio spetta a Google che otto anni fa si è accaparrato YouTube, diventato poco dopo uno dei siti più cliccati al mondo (secondo solo al motore di ricerca Mountain View). Nel 2007 è stata la volta dell’azienda fondata da Bill Gates che ha comprato aQuantive, società specializzata in web advertising, per 6 mld di dollari, successivamente ha messo le mani sul software di messaggistica Skype e sulla divisione device e servizi di Nokia. Steve Jobs si posiziona cronologicamente al terzo posto della classifica big, in quanto la sua “campagna acquisti” ha preso il via soltanto nel 2008. È da sottolineare però che in breve tempo ha recuperato terreno, studiando nuove strategie di mercato e nuove partnership per restare sempre al passo con i tempi. È di questi giorni la notizia del nuovo aggiornamento 7.1 del sistema operativo mobile iOs, per il servizio CarPlay. Ferrari, Honda, Hyundai, Mercedes-Benz e Volvo hanno dato fiducia alla nuova tecnica di Apple, tanto da adottarla su alcuni modelli delle loro autovetture già durante il 2014; in futuro assisteremo all’accordo con numerosi altri partner tra cui Ford, BMW, Land Rover, Jaguar e Opel. CarPlay è il modo intelligente di sfruttare le potenzialità di un iPhone al volante, portando sul monitor di controllo delle autovetture le applicazioni che più servono e che permettono al guidatore di non distrarsi dalla guida e dal volante. Gli automobilisti potranno sfruttare le mappe del gps, ascoltare la musica e le radio di tutto il mondo, leggere i messaggi ricevuti, inviarne di nuovi, comporre un numero telefonico o scorrere l’agenda grazie al sistema di riconoscimento vocale Siri. CarPlay apre nuove prospettive nel rapporto auto-computer, e si stanno già studiando nuove app, capaci di sfruttare al meglio le videocamere delle manovre di parcheggio, di monitorare lo stato di salute del conducente per prevenire malori o colpi di sonno. Nuove sfide dunque per il colosso informatico statunitense. Ma le nuove sfide e le nuove scommesse non vengono unicamente dai giganti dell’hi-tech, ma anche dai singoli manager che puntano a risollevare le aziende, prospettandosi un futuro più roseo: è questo il caso del ceo di BlackBerry John Chen. Lo ricorderanno i nostri lettori – è di pochi giorni fa la notizia del ritorno alle origini proposto dall’amministratore delegato per risollevare il destino dell’azienda canadese, ex Research in Motion: l’ultimo fallimento in borsa mostra un calo del 64% rispetto all’anno precedente. Gli hardware, che un anno prima valevano il 61% del fatturato, sono scesi al 37%, mentre i servizi (56%) e il software (7%) sono diventati la fonte principale delle entrate del gruppo. Le ridotte vendite degli apparecchi mobili deprimono però enormemente la richiesta dei servizi tanto che alla Casa Bianca circolano voci sulla ricerca di possibili smartphone sostitutivi e il team del presidente pare stia già testando nuovi modelli di Samsung e Lg. La possibilità di poter perdere un cliente prestigioso come Barack Obama, ha scosso Chen che starebbe reclutando nuova forza vendita dedicata ai clienti aziendali e governativi che utilizzano lo smartphone per lavoro (necessitando una tastiera fisica, marchio di fabbrica di BlackBerry) e che dunque hanno bisogno di alti standard di sicurezza, anche nella gestione del servizio di messaggistica. Il crollo in borsa e la bassissima quota di mercato non spaventano Chen, che si mostra – per ora – paziente e tenace. La parola d’ordine per le società sembra essere quindi “prevenire altre possibili crisi future”: e per far ciò, c’è chi punta sugli investimenti lontani dal core business e chi invece preferisce – come nel caso di BlackBerry – fare gioco-forza sul ritorno alle origini commerciali del proprio marchio. (V.R. per NL)