Il motore di ricerca di casa Alphabet torna sotto la lente d’ingrandimento dei giudici americani: in particolare, il servizio Google Amp è stato accusato di sfavorire la libera concorrenza in campo pubblicitario. Un’accusa forse non totalmente infondata, visto l’abbandono del servizio da parte di importanti editori statunitensi.
Recap
Il 2021 di Google si è chiuso con ricavi importantissimi, soprattutto dal settore adv, vero motore della crescita della società. Solo nell’ultimo trimestre dello scorso anno, la pubblicità ha avuto un peso di 53,1 miliardi di dollari sul bilancio, un dato ancora più impressionante se si considera che l’adv è in crescita, rispetto allo stesso periodo 2020, del 43,2%.
Antitrust
Nello scorso anno, però, Google ha dovuto anche fare i conti con le autorità antitrust, prima quella italiana e poi la francese. In entrambi i casi, alla società era stato contestato un abuso della propria posizione dominante. Nel primo caso, l’oggetto della contesa riguardava la fruibilità dell’app JuicePass di Enel, mentre, nel secondo, il comportamento scorretto imputato dai francesi riguardava proprio il settore adv.
Da Google Ad Manager a Google Amp
Google avrebbe quindi favorito se stessa nel contesto pubblicitario della propria piattaforma a discapito dei concorrenti. Un comportamento, questo, che è stato nuovamente contestato alla società, questa volta da parte degli editori americani riguardo al funzionamento di Google Amp.
Google Amp
Accelerated Mobile Pages (appunto Amp) è un servizio che permette una navigazione mobile più fluida e veloce, come promette il nome stesso. In contemporanea, Amp gestisce anche la vendita di spazi pubblicitari sui siti stessi.
L’inghippo
L’accusa mossa nei confronti di Google sarebbe, ancora una volta, quella di aver creato un sistema che favorisce se stessa. Amp, infatti, sembra sfavorire la vendita all’asta di spazi pubblicitari a piattaforme esterne a Google, rendendo di fatto una scelta obbligata passare per il servizio di Mountain View.
Indipendenza
Gli editori americani, dunque, hanno deciso di muoversi verso altre direzioni, sperimentando versioni interne alternative alla proposta di Google, così da potersi rendere indipendenti dalla società di Alphabet. Non solo: oltre alla svolta verso l’autonomia per i servizi web, le motivazioni sembrano essere anche economiche. Infatti, oltre alla poca trasparenza nella vendita degli spazi, Amp garantirebbe anche bassi introiti.
Goodbye Google Amp
Alla luce di questa situazione, editori importanti come Vox Media, Buzz Feed, Bustle Bdg e Washington Post hanno annunciato di voler testare delle proprie soluzioni alternative. Nel caso del quotidiano della capitale, sembra che la decisione risalga addirittura alla scorsa estate. (A.M. per NL)