L’hanno già soprannominata “ad-pocalypse” e si presenta come la peste nera degli Youtuber.
YouTube ha implementato criteri nuovi per l’assegnazione delle inserzioni pubblicitarie ai contenuti video presenti sulla piattaforma social, così stringenti che la maggior parte degli youtuber ha iniziato a stracciarsi le vesti, parlando appunto di “adpocalypse”, cioè apocalisse dell’advertising.
Non è difficile comprenderli: meno video sono sponsorizzati, minori sono gli introiti di chi li pubblica. Infatti, in pochissimo tempo, l’ “algoritmo mannaro” varato dal social di Google ha spaventosamente ridotto i guadagni delle star del web, in alcuni casi anche dell’85%.
Non si tratta di sadismo o punizioni esemplari, YouTube ha agito in conseguenza delle fortissime lamentele (e del pericolo ritiro dalla piattaforma) degli investitori: gli inserzionisti, infatti, si sono resi conto che le loro pubblicità potevano finire su qualunque tipo di video, anche con contenuti offensivi, inappropriati o semplicemente non in linea con il messaggio del brand o prodotto pubblicizzato (come la pubblicità di Gucci in una performance di rutti dell’ultimo YTuber solo perché supercliccata).
Per la propria sopravvivenza, cioè per non perdere i capitali necessari all’esistenza di YouTube, il social dei video ha così deciso di lanciare un algoritmo che garantisse un posizionamento delle inserzioni sicuro. Il problema sorge dal fatto che gli algoritmi non percepiscono le sfumature dei contenuti, come l’ironia o le parodie, penalizzando così moltissimi video “innocui” alla stregua di contenuti realmente offensivi.Un garantismo così “svizzero”, certamente non piace ai content maker – che oltre a guadagnare di meno, potrebbero sentirsi influenzati nelle proprie espressioni più o meno artistiche – e forse può essere dannoso per lo stesso YouTube. Lo scopo è convincere gli inserzionisti a rimanere e investire, ma non sembra essere efficacemente raggiunto per mezzo di un algoritmo che, sebbene in nome di una maggior qualità, di fatto riduce notevolmente gli spazi, sacrificandone anche molti “buoni”.
C’è poi chi non manca di sottolineare che fin qui è stata data un’importanza forse eccessiva al valore delle visualizzazioni dei video su YouTube, anche a causa dell’enfatizzazione che Google fa quando le paragona ai risultati dell’audience televisiva. E’ sotto gli occhi di tutti che i video degli youtuber più in voga possano arrivare a miliardi di visualizzazioni, ma c’è un tranello: la piattaforma conteggia come “visualizzato” anche un video visto per soli 30”.
Le rilevazioni delle persone che assistono ad una trasmissione televisiva, invece, considerano il numero di persone che in media hanno visto un programma per ciascun minuto della sua messa in onda. Appare allora evidente la forzatura del paragone di due dati che sono invece incomparabili, a causa della diversità del metodo di rilevazione.
Dopo questa considerazione, allora, si può guardare alla situazione delle inserzioni pubblicitarie su YouTube come una bolla che doveva inevitabilmente esplodere. Chi si chiede se il modus operandi messo in atto da YouTube sia quello più corretto e, soprattutto, il più adatto a salvare la situazione, dovrà solo pazientare (poco) per sapere come andrà a finire. (V.D. per NL)