Il reato di atti persecutori, cosiddetto stalking, disciplinato dall’art. 612-bis del Codice penale si realizza attraverso una serie di comportamenti persecutori posti in essere dallo stalker nei confronti della vittima (come ad esempio le minacce), al fine di provocare nella stessa paure e ansie, aggravando, in questo modo, il normale svolgimento della sua vita quotidiana.
Se in passato queste condotte si materializzavano prevalentemente con appostamenti nei luoghi più frequentati dalla vittima (casa, lavoro, scuola, palestra ecc.) o con pedinamenti, oggi – complice la diffusione di nuovi mezzi di comunicazione come le applicazioni di messaggistica istantanea o i social network – sono cambiati i luoghi e le modalità attraverso le quali uno stalker può creare uno stato permanente di preoccupazione nei confronti della sua vittima.
Il 28/01/2019 la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione si è pronunciata con la sentenza n. 3989/2019 specificando che l’uso del mezzo informatico, tra cui rientra anche la nota applicazione di messaggistica istantanea WhatsApp, è da considerarsi tra le circostanze aggravanti del reato di stalking.
Ricostruendo brevemente la controversia, il Tribunale di Verbania aveva condannato per stalking un uomo a sei mesi di reclusione, oltre al pagamento degli oneri accessori; e in questa sede, il giudice aveva rilevato come circostanza aggravante l’utilizzo del mezzo informatico, quale l’impiego di WhatsApp.
L’uomo ha proposto ricorso in Cassazione per la parte in cui il giudice ha ritenuto l’utilizzo del sistema di messaggistica come un aggravante del reato, lamentando il fatto che la messaggistica tra due soli utenti fosse parificata al mezzo informatico.
Nonostante le motivazioni, la Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato nella parte in cui contestava l’applicazione di una pena diversa rispetto a quella concordata e, sul punto, ha statuito che “non vi è stata alcuna modifica della fattispecie contestata ma la mera esplicitazione, rispetto al fatto specificatamente descritto nel capo di imputazione, della necessità di considerare la circostanza aggravante dell’uso del mezzo informatico come subvalente, in modo da conservare il risultato sanzionatorio concordato dalle parti”. (D.D. per NL)