Secondo l’ultima edizione del Global Music Report, l’industria discografica mondiale tra il 1999 e il 2014 ha perso quasi il 40% dei ricavi; solo nel 2015 i ricavi globali sono tornati a crescere (+3,2%) e nel 2016 si è consolidata l’inversione di tendenza (+5,9%).
Nel 2015 il segmento digitale del mercato musicale è diventato la principale fonte di ricavi. Oggi le vendite fisiche restano significative solo in alcune aree geografiche (e per alcuni artisti) e il fattore strategico di crescita è lo streaming.
Secondo la ricerca realizzata da IFPI, le case discografiche e i distributori sono stati determinanti in questa evoluzione, rilasciando licenze per più di 40 milioni di tracce verso centinaia di servizi digitali nel mondo e sviluppando sistemi innovativi per un sempre maggiore accesso alla musica.
Le case discografiche hanno imparato a usare in modo sempre più sofisticato le enormi quantità di dati disponibili grazie alla digitalizzazione e riescono a focalizzare meglio le strategie di marketing per sviluppare le carriere artistiche in collaborazione con i manager e gli artisti.
Prima di vedere un ritorno alla crescita, nel 2015, l’industria discografica ha perso quasi il 40% dei ricavi tra il 1999 ed il 2014. I diritti connessi sono passati da 1,4 miliardi di dollari del 2010 ai 2,2 miliardi nel 2016.
I dieci mercati più importanti sono, in sequenza: 1) gli USA con 5,318.21 milioni di dollari; 2) il Giappone con 2,745.99; 3) il Regno Unito a quota 1,251.14; 4) la Germania posta a 1,212.00; 5) la Francia a 849.59; 6) il Canada con 367.98; 7) l’Australia con 357.26; 8) la Corea del Sud a 330.17; 9) l’Italia a 263.77; 10) l’Olanda 243.36.
La crescita del vinile è stata registrata in 49 mercati nel mondo. Dopo 10 anni successivi di crescita, il vinile rappresentava il 10.5% di tutte le vendite fisiche nel 2016 e il 3.6% dei ricavi totali nel mondo. Le vendite sono cresciute fortemente in Paesi come la Norvegia, la Danimarca, l’Australia, il Sud Corea in concomitanza alla progressiva diffusione dello streaming.
Continua a crescere la disparità (Value Gap) tra quello che le piattaforme di upload, come YouTube, generano dall’utilizzo della musica, rispetto ai ricavi che vengono riconosciuti a coloro che hanno lavorato e investito per la creazione di quei contenuti musicali.
I servizi upload di streaming video, beneficiando della errata applicazione dei “safe harbours”, comprendono la più ampia audience di servizi musicale, stimata intorno ai 900 milioni di utenti. Nel 2016 i ricavi determinati per gli aventi diritto attraverso questi servizi hanno raggiunto i 553 milioni di dollari.
I servizi on demand di audio streaming che hanno invece negoziato le licenze su termini corretti contribuiscono per oltre 3.9 miliardi di dollari malgrado la base utenti sia ben minore: 212 milioni di utenti.
La Commissione Europea ha identificato il value gap come una distorsione del mercato che necessita di un intervento normativo e ha proposto una bozza che è attualmente in discussione presso il Parlamento Europeo e il Consiglio dei Ministri. Obiettivo: ristabilire una proporzionata remunerazione per gli artisti e i produttori. (E.G. per NL)
Nel 2015 il segmento digitale del mercato musicale è diventato la principale fonte di ricavi. Oggi le vendite fisiche restano significative solo in alcune aree geografiche (e per alcuni artisti) e il fattore strategico di crescita è lo streaming.
Secondo la ricerca realizzata da IFPI, le case discografiche e i distributori sono stati determinanti in questa evoluzione, rilasciando licenze per più di 40 milioni di tracce verso centinaia di servizi digitali nel mondo e sviluppando sistemi innovativi per un sempre maggiore accesso alla musica.
Le case discografiche hanno imparato a usare in modo sempre più sofisticato le enormi quantità di dati disponibili grazie alla digitalizzazione e riescono a focalizzare meglio le strategie di marketing per sviluppare le carriere artistiche in collaborazione con i manager e gli artisti.
Prima di vedere un ritorno alla crescita, nel 2015, l’industria discografica ha perso quasi il 40% dei ricavi tra il 1999 ed il 2014. I diritti connessi sono passati da 1,4 miliardi di dollari del 2010 ai 2,2 miliardi nel 2016.
I dieci mercati più importanti sono, in sequenza: 1) gli USA con 5,318.21 milioni di dollari; 2) il Giappone con 2,745.99; 3) il Regno Unito a quota 1,251.14; 4) la Germania posta a 1,212.00; 5) la Francia a 849.59; 6) il Canada con 367.98; 7) l’Australia con 357.26; 8) la Corea del Sud a 330.17; 9) l’Italia a 263.77; 10) l’Olanda 243.36.
La crescita del vinile è stata registrata in 49 mercati nel mondo. Dopo 10 anni successivi di crescita, il vinile rappresentava il 10.5% di tutte le vendite fisiche nel 2016 e il 3.6% dei ricavi totali nel mondo. Le vendite sono cresciute fortemente in Paesi come la Norvegia, la Danimarca, l’Australia, il Sud Corea in concomitanza alla progressiva diffusione dello streaming.
Continua a crescere la disparità (Value Gap) tra quello che le piattaforme di upload, come YouTube, generano dall’utilizzo della musica, rispetto ai ricavi che vengono riconosciuti a coloro che hanno lavorato e investito per la creazione di quei contenuti musicali.
I servizi upload di streaming video, beneficiando della errata applicazione dei “safe harbours”, comprendono la più ampia audience di servizi musicale, stimata intorno ai 900 milioni di utenti. Nel 2016 i ricavi determinati per gli aventi diritto attraverso questi servizi hanno raggiunto i 553 milioni di dollari.
I servizi on demand di audio streaming che hanno invece negoziato le licenze su termini corretti contribuiscono per oltre 3.9 miliardi di dollari malgrado la base utenti sia ben minore: 212 milioni di utenti.
La Commissione Europea ha identificato il value gap come una distorsione del mercato che necessita di un intervento normativo e ha proposto una bozza che è attualmente in discussione presso il Parlamento Europeo e il Consiglio dei Ministri. Obiettivo: ristabilire una proporzionata remunerazione per gli artisti e i produttori. (E.G. per NL)
Per approfondimenti:
Top of the Music FIMI-Gfk 2016
Il consumo di musica Report 2016