A quattro anni dalla nascita, il fatturato del sito Linkiesta non è riuscito a spiccare il volo, e ora si trova a un passo dal baratro: con ricavi attestati a circa 190 mila euro per il 2013, la testata è sulla strada della liquidazione.
Aveva puntato tutto sulla novità, era partita con un atteggiamento sfrontato e un modello di business incentrato sul finanziamento da abbonati e da inchieste su commissione: aspettative disattese. Si è risolto tutto in un nulla di fatto: i miseri ricavi sono soltanto una goccia nell’oceano dei costi per il personale (oltre un milione di euro) e per la produzione (1,7 mln di euro). Con uno squilibrio del genere, le perdite non possono far altro che decollare: 1,5 mln nel 2013, e oltre 340 mila euro nei soli primi tre mesi del 2014 – tra gennaio e marzo i ricavi sono stati di appena 23 mila euro, di cui 15.700 da pubblicità attraverso la concessionaria Rcs, e 7.800 euro da abbonamenti -. Una situazione vicina al tracollo che ha spinto inevitabilmente i vertici a convocare un’assemblea straordinaria in cui sono state deliberate decisioni fondamentali: in primis la necessità di un aumento del capitale da 1,1 mln di euro sottoscritto dai soci, che servirà a portare la somma totale a quota 1,45 mln di euro (per poi azzerarlo a copertura delle perdite). È da sottolineare che in caso contrario l’Editoriale Linkiesta verrà messa in liquidazione, ed è già stato individuato il nome del liquidatore: Elisabetta Claudia De Lorenzi, come emerge dalle pagine del quotidiano Italia Oggi. Si chiede poi un grande sforzo all’azionariato diffuso nella società, con il fine di alzare la soglia massima di possesso per ogni singolo socio, dal 5% al 30%, in modo da concentrare il controllo di tutte le manovre su un numero ristretto di azionisti forti. Nel complesso sembrano essere venuti meno lo spirito e i presupposti da cui Linkiesta era partita: ne sono una prova lampante le dimissioni di quasi tutti i giornalisti fondatori tra i quali Jacopo Tondelli, Massimiliano Gallo, Jacopo Barigazzi e Fabrizio Goria. Di certo non si può dire lo stesso per Il Fatto Quotidiano, che addirittura si prepara a sbarcare in borsa a ottobre, comunicando le novità editoriali per il triennio 2014-2017: la testata ha dichiarato di voler scommettere sul digitale per garantirsi una posizione di spicco nel mercato italiano. Del resto nel 2013 il sito www.ilfattoquotidiano.it ha raccolto per quel che concerne le inserzioni, più del doppio dell’edizione cartacea (1,6 mln di euro, contro 740 mila). Come emerge dal bilancio, la raccolta complessiva sale del 32,3% sfiorando i 2,4 mln di euro, mentre i ricavi dalle vendite del quotidiano aumentano del 12,7% a 21,6 mln, ma con quelli da abbonamento giù del 16,1% per altri 1,8 mln. Lo scorso esercizio si è chiuso con un utile netto di 1,2 mln di euro, di cui il 50% è stato destinato a riserva straordinaria, e l’altra metà circa ai soci. Nei primi mesi del 2014 la raccolta pubblicitaria è cresciuta del 12%, rispetto a quanto preventivato, trend riconducibile “all’aumento della raccolta online rispetto al budget del sito; la raccolta pubblicitaria su carta è invece in linea col budget”. Pur sapendo che è la carta il motore trainante del gruppo, l’amministratrice delegata Cinzia Monteverdi dichiara che le attenzioni restano molto incentrate sul web: per il sito l’obiettivo fondamentale è raggiungere il pareggio verso metà 2015, e far salire gli accessi quotidiani a quota 1,5 mln entro fine 2017. Nel settore cartaceo invece la strategia diffusionale parla di un generico consolidamento delle vendite annuali in edicola. Nel futuro del Fattoquotidiano.it ci sono poi lo sviluppo di una nuova app, nuove sezioni restyling oltre a una piattaforma blog e nuovi formati pubblicitari (ad oggi la concessionaria web è Populis Engage; Publishare segue le inserzioni sulla carta ma entrambe le concessionarie hanno contratti in scadenza a fine anno). (V.R. per NL)