Martedì 5 ottobre si è tenuta davanti alla commissione del Senato statunitense che si occupa di protezione dei dati l’audizione di Frances Haugen. Elegantemente definita da La Repubblica Gola Profonda Haugen è la fonte che ha fornito al Wall Street Journal i documenti riservati che hanno permesso la pubblicazione dei Facebook Files. Abbiamo trovato la sua testimonianza abbastanza fattuale, ma molto mediaticamente studiata, in contrasto con la risposta di Mark Zuckerberg che ci pare razionale e misurata.
I Facebook Files
NL ha descritto in modo approfondito i Facebook Files nell’articolo del 24 settembre. Avevamo pensato la talpa, o meglio, le talpe, fossero numerosi differenti dipendenti di Facebook, tutti preoccupati per le stesse ragioni. La realtà pare essere differente: si tratta di una sola persona, appunto Frances Haugen che ha rilasciato i leak al WSJ, poi un’intervista esclusiva al popolare programma 60 minutes di ABC andato in onda domenica 3 ottobre e infine la testimonianza all’audizione del Senato statunitense.
Documenti rubati
Riportiamo innanzitutto la dichiarazione rilasciata a Bloomberg da Monika Bickert, VP Content Policy per Facebook: “Il nostro ex dipendente Frances Haugen, per sua stessa ammissione, non ha mai lavorato sulle questioni (sulle quali ha testimoniato), quelle dei documenti che ha rubato (e reso pubblci tramite il WSJ N.d.R.)”.
Frances Haugen
Frances Haugen, curriculum di sicuro rispetto (master in Business Administration alla Harvard Business School e fondatrice di Secret Agent Cupdid e Hinge, due siti di incontri “creati da scienziati dell’amore”), ha lavorato presso Facebook dal giugno 2019 occupandosi di “civic integrity issues”. Sue specialità secondo il profilo Linkedin: “Product Management – Product design – Data driven decision making – User experience design – Mathematical modeling and data analysis – Organizational health – Data mining analysis”
La testimonianza
La testimonianza è stata ampliamente riportata dalla stampa di tutto il mondo. Leggendo i reportage CNN pare si sia concentrata sulle questioni divisive degli algoritmi – quelli da noi già illustrati – citando ad esempio l’apparente incitamento alla violenza etnica da questi scatenata in nazioni quali l’Etiopia.
Adolescenti depresse
La parte che abbiamo potuto seguire in diretta video era invece completamente dedicata alla questione delle adolescenti depresse a seguito dell’utilizzo della piattaforma Instagram. Nelle sue parole “Le ricerche commissionate da Facebook rivelano come gli adolescenti siano in difficoltà sulle questioni riguardanti il proprio aspetto fisico anche perché i genitori (nati in epoche in cui i social non esistevano N.d.R.) – non sono in grado di guidarli”.
La risposta di Mark Zuckerberg
La risposta del fondatore del social network sono arrivata tramite un post pubblicato verso le 2 del mattino del 6 ottobre 2021 (ora francese). Riportiamo testualmente le osservazioni principali.
Ricerche commissionate da Facebook stessa
“Se avessimo davvero voluto ignorare i risultati delle ricerche, perché avremmo dovuto commissionarle in prima istanza? Se davvero Facebook è responsabile dell’aumento della polarizzazione tra le idee, perché questa cresce negli Stati Uniti ma resta costante in tante altre nazioni che hanno adottato, o stanno adottando i social media? “
I pubblicitari non vogliono contenuti divisivi
“L’idea che deliberatamente promuoviamo contenuti che rendono le persone arrabbiate o depresse per generare profitto è altamente illogica. Il nostro fatturato viene dalla pubblicità, e gli investitori costantemente ci dicono come non vogliano i propri messaggi vicino a contenuti pericolosi o divisivi.”
I giovani e la tecnologia
“La realtà è che i giovani usano la tecnologia, che ci piaccia o meno. Pensiamo a quanti ragazzini dispongono di un telefono. Piuttosto che ignorare il problema le aziende devono impegnarsi a creare esperienze che li proteggano. Attaccare le organizzazioni che fanno questo sforzo (Facebook N.d.R.) significa mandare il messaggio che per evitare il rischio di trovare qualcosa che potrebbe non piacerci è meglio non farlo del tutto (come nel caso di TikTok, N.d.R.).”
Conclusioni
Entrambe le parti hanno esposto argomentazioni importanti che senz’altro contribuiranno a migliorare le piattaforme (anche se la conclusione di Haugen ci pare da operetta e pericolosa: “Facebook dovrebbe dichiarare la sua bancarotta morale e chiedere l’aiuto del Congresso.”). Ultima nota, il modo in cui i media si sono schierati piuttosto acriticamente dalla parte di chi condanna senza appello non può non farci venire alla mente la consueta massima “Follow the Money”. Ovvero la battaglia tra media legacy e nuovi media per accaparrarsi gli investimenti pubblicitari. (M.H.B. per NL)