L’agenzia di stampa francese Agence France Press ha condotto un’indagine e ha comunicato che circa 266 persone sono state arrestate in dieci diversi Paesi dell’Asia, colpevoli di aver pubblicato e diffuso informazioni sbagliate relative al Covid-19.
Ad alimentare la già difficile situazione causata dal coronavirus, oltre allo stress e alla paura, si aggiungono le sempre più frequenti fake news, che non solo sono causa di disinformazione, ma rischiano di rendere vani tutti gli sforzi fino ad ora compiuti – sia dalle autorità che dai cittadini – per arginare la pandemia mondiale.
“Spetta ai governi fornire informazioni efficaci”
Nella maggior parte dei Paesi asiatici la libertà di parola e di espressione non è mai stata totale e la linea sottile che l’ha da sempre separata dalle misure contro le fake news è una questione di vecchia data in Asia.
Le autorità di questi Stati hanno rafforzato ulteriormente il duro controllo per evitare la diffusione di notizie false, che comprendono i più diversi metodi di cura e prevenzione contro il virus e teorie cospirazionistiche.
Sempre secondo l’Agence France Press, utilizzando come motivazione la salvaguardia della verità, i governi di questi Paesi hanno approfittato della situazione per oscurare l’opposizione o i giornalisti. Hanno punito le persone sbagliate, ovvero le persone comuni che, a causa della condizione di censura e limitazione delle opinioni, non hanno gli strumenti per capire che stanno alimentando la disinformazione.
A questo proposito Phil Robertson – vice direttore dell’Human Rights Watch per l’Asia – ha, così, dichiarato:”Le persone non dovrebbero essere criminalizzate per aver detto ciò che pensano online. Spetta ai governi fornire informazioni efficaci”
“Usano le fake news per mascherare la violazione dei diritti”
Robertson ha inoltre confermato quanto detto dall’agenzia francese:“I governi stanno usando l’etichetta delle fake-news per mascherare la violazione dei diritti, per censurare opinioni e dichiarazioni che sono in contrasto con la strategia che le autorità hanno preso per affrontare la crisi del coronavirus. In molti casi le persone vengono trascinate fuori dalle loro case per essere rinchiuse, sono poste in stato di detenzione preventiva in spazi affollati dove è più probabile che contraggano il Covid-19”.
India, Malesia, Sri Lanka ma non solo
Tante sono le storie da raccontare delle persone arrestate. Una tra le vicende che hanno destato più clamore è quella di un politico locale indiano che su Facebook ha accusato il governo del suo Paese di minimizzare i decessi collegati al virus.
In Malesia un personaggio televisivo ha pagato una multa di migliaia di dollari per aver pubblicato un video su YouTube in cui criticava la gestione della pandemia da parte di un ospedale.
In Sri Lanka una donna è stata tre giorni in carcere poiché aveva condiviso su Facebook la notizia del presidente positivo al Covid-19.
In Cambogia un esperto di social ha reso nota una citazione del premier Hun Sen – nella quale diceva ai tassisti di vendere i propri veicoli se non avessero potuto guadagnare i soldi durante l’epidemia – è stato accusato di incitamento a commettere reato e rischia due anni di carcere.
“La repressione viene percepita come protezione della salute pubblica”
Negli ultimi anni vari Paesi dell’Asia, per gestire al meglio la disinformazione, hanno rafforzato le leggi o ne hanno introdotte di nuove e da ciò è scaturita tutta quest’ondata di arresti.
Masato Kajimoto, ricercatore di giornalismo presso l’università di Hong Kong, ha spiegato all’Agence France Press che: ”La pandemia non ha fatto che altro che accelerare questo processo, perché in questo contesto una repressione può essere percepita come protezione della salute pubblica piuttosto che una violazione della libertà di parola”. (N.S. per NL)