Sembrava finita nel cassetto e invece, a distanza di due anni dalla vittoria di Youtube (e Google, suo proprietario dal 2006), una Corte d’Appello newyorchese ha riaperto la causa miliardaria intentata da Viacom ai danni del colosso del video sharing, per violazione del Copyright.
Ricapitoliamo brevemente. Nel 2007 Viacom (MTV, Comedy Central, Black Entertainment Television, Paramount Pictures, Nickelodeon) decide di intentare una causa contro Youtube, chiedendo un milione di euro di risarcimenti per via di alcuni video – si dice 79mila -, caricati da utenti sul portale, che violavano palesemente il copyright dei propri creatori, ossia i produttori dei cartoni animati SpongeBob e SouthPark. Nel 2010 la querelle si interrompe, temporaneamente, dopo che la Corte Distrettuale di New York si pronuncia sul caso, considerando Youtube (e il suo mentore Google, che all’epoca delle violazioni non ne era ancora il proprietario) “generalmente consapevole” delle violazioni in atto e quindi protetto dal Digital Millennium Copyright Act (DMCA), che di fatto libera le aziende da ogni responsabilità sul caricamento di contenuti da parte di terzi sulle proprie piattaforme. Durante il periodo della causa, parallelamente, Youtube si trova ad affrontare due situazioni analoghe in Europa. Curiosamente entrambi contenziosi erano stati aperti da aziende riconducibili al gruppo Fininvest. Sia Mediaset, in Italia, che Telecinco, in Spagna, avevano contestato violazioni simili riguardanti contenuti sotto la tutela dei loro rispettivi Copyright (in Italia si trattava di puntate del Grande Fratello). Gli esiti, però, erano stati alterni: mentre i giudici spagnoli avevano dato torto a Telecinco ritenendo impossibile in controllo concreto di ogni contenuto scaricato, quelli italiani hanno parzialmente riconosciuto le violazioni e, nonostante la causa sia ancora in corso, hanno intimato a Youtube di rimuovere i video incriminati. All’inizio di aprile, intanto, una Corte d’Appello di Manhattan ha riaperto la diatriba tra Viacom e Youtube&Google. Motivo? Alcune intercettazioni telefoniche di vertici Google, risalenti al 2005, lascerebbero intendere che la conoscenza da parte dell’azienda non fosse semplicemente “generica” ma “specifica e diretta”. Nelle registrazioni, infatti, i dirigenti farebbero riferimento ad alcuni video in particolare. Ora, se il verdetto della Corte d’Appello ribaltasse la sentenza, si creerebbe un precedente molto ma molto pericoloso per Youtube e tutti gli altri portali di filesharing. (G.M. per NL)