Il 2019, ancora una volta, sarà un anno di avvicendamenti tecnologici per il settore mediatico italiano. Non tanto per la Radio, che, unico mezzo di comunicazione elettronica parzialmente analogico, vedrà meramente diminuire l’incidenza della comunque tuttora essenziale FM a vantaggio di altri vettori digitali, senza tuttavia particolari rivoluzioni in vista, secondo l’antico adagio che i cambiamenti, se lenti e progressivi, vengono assimilati dal sistema senza vistosi traumi.
Chi dovrà lavorare su un futuro più incerto sarà invece la tv.
Ad oggi gli editori della tv tradizionale si dividono tra i catastrofisti, che non vedono un futuro oltre la data del 2022, quando la relativamente recente dualità imperfetta (perché non così netta come lo spirito del legislatore del tempo avrebbe voluto) tra operatori di rete e fornitori di contenuti vedrà un pesantissimo riassetto; e gli ottimisti, che ritengono che la tv nazionale locale via etere supererà le forche caudine del Twenty Twenty.
Come sempre gli estremisti di uno e dell’altro senso sbagliano: il 2022 non sarà certamente l’anno dello switch-off DTT/IP (anche se già nel 2020 il 55% delle abitazioni avrà una tv connessa a internet), ma quello di determinati modelli televisivi, sì.
Parlando degli operatori locali, per esempio, chi dal 2010 in poi ha progressivamente concentrato la propria attività sulla vendita di capacità trasmissiva dovrà rivedere il proprio business, considerato che magari potrà ancora commercializzarla, ma non più come dominus incondizionato del mux, quanto come condomino titolare di una porzione del multiplexer, coi limiti economici e tecnici che ciò comporta.
Lato fornitori di contenuti, è presumibile che per il 2022 le contribuzioni pubbliche, se non saranno state azzerate, certamente diventeranno insignificanti. Secondo l’attuale governo, la diminuzione progressiva lungo il triennio favorirà l’assorbimento del trauma attraverso lo spostamento del modello di mantenimento, alterando i pesi dei piatti della bilancia a favore dell’autosostentamento (per mezzo della pubblicità o di altre fonti di ricavo, come gli eventi o l’infomarketing).
Alcune rendite di posizione si affievoliranno grazie alle successioni tecnologiche: l’importanza della numerazione automatica sul telecomando sarà minata dai comandi vocali delle televisioni e dalle app aggregatrici per le smart tv. I primi privilegeranno le denominazioni (per semplicità e notorietà) rispetto al numero del canale; le seconde, faciliteranno l’individuazione nella totale indifferenziazione distributiva.
Ma la differenza fondamentale, ça va sans dire, la faranno i contenuti, in particolar modo quelli verticali.
Chi punterà su aree tematiche di scarso interesse per gli OTT del web ed i superplayer della tv via etere, come lo sport areale, gli approfondimenti informativi locali, gli eventi, la cultura territoriale e comunque su argomenti differenti, con ogni probabilità avrà ancora ragione di esistere e magari potrà anche prosperare nel nuovo mercato.
Sul piano nazionale si accentueranno fenomeni già in corso, come l’abbandono della produzione e veicolazione di film e fiction, che diventeranno appannaggio esclusivo dello streaming video on demand di Netflix, Prime Video, ecc. a favore delle news, del live, dell’infotainment, dello spettacolo e, naturalmente, dell’onnipresente sport.
Certo, serviranno idee, innovazione, conoscenza, competenza. Ma non la sfera di cristallo. Quella appartiene alla televisione del passato, quella dei cartomanti.