Roma – Alle numerose diatribe già emerse per circostanze simili, si va ad aggiungere il contrasto tra Moreover e Associated Press. Quest’ultima ha denunciato Verisign, proprietaria di Moreover dal 2005, per aver fatto impiego dei propri contenuti in modo difforme da quanto statuisce la regola del “fair use” (costituita da un articolo presente nel Titolo 17, comma 107, del la legge sul Copyright statunitense).
In rete la notizia circola già da qualche giorno, con toni di generale perplessità: non si capisce come si possa procedere a una denuncia in modo così immediato, senza neanche tentare un minimo di soluzione negoziale. Viene spontaneo pensare a quanto accaduto tra Google e France Press lo scorso aprile: i due entrarono in contrasto in quanto la seconda non aveva molto a simpatia l’impiego delle proprie notizie sul portale Google News. La soluzione, benché nulla di preciso sia stato rivelato circa le condizioni economiche, è stata trovata sulla base di un normale tavolo d’intesa, concretizzato in una transazione finanziaria.
La vicenda, stando a quanto indicano la maggior parte delle fonti in rete, letteralmente si impernia sulla ormai famosa Copyright Law, che consente una limitata riproduzione dei contenuti sotto l’egida del “fair use”, ma Srinadan Kasi, vice president e consigliere di AP, dice su CNNMoney: “Le attività di Moreover non si identificano nel fair use perché, tra l’altro, loro eseguono una mera copia dei titoli di AP e non offrono alcun valore aggiunto. Le Corti, in genere, danno alle parti un margine quando il materiale coperto da copyright è trasformato in un nuovo lavoro o una nuova forma espressiva, ad esempio la parodia”.
È singolare, osserva ArsTechnica, che AP abbia rilevato la presunta irregolarità proprio mentre stava contrattando con Moreover la fornitura di un servizio di gestione dei contenuti per i propri clienti.
Sottolinea ancora ArsTechnica che AP, come molte altre realtà analoghe, non vive di pubblicità sui propri siti e non ricava alcun vantaggio dall’essere linkata (ad avere, cioè sulle pagine altrui un collegamento che rimandi ai propri siti). Le agenzie di stampa, che gli anglosassoni definiscono, con un termine di più ampio respiro, wire services, vivono custodendo gelosamente il proprio prodotto e facendo in modo che ne usufruiscano per prime e in via esclusiva testate giornalistiche, riviste, radio e TV: il rischio, quindi, è che i fruitori dei contenuti, invece di contrattualizzarne una fruizione ufficiale regolarmente pagata, ripieghino sui velocissimi servizi di aggregazione, che non costano nulla e riferiscono con la differenza di pochissimi minuti.
La posizione di AP puo’ essere, da questo punto di vista, condivisibile; pur vero è che, anche tenendo in ogni possibile considerazione il “fair use”, AP mette pur sempre a disposizione del mondo intero questa pagina, nella quale sono disponibili i feed RSS del proprio circuito, accuratamente spiegati in quest’altra pagina, con tanto di suggerimenti su come utilizzare il servizio.
Non resta che seguire la vicenda, anche alla luce di tutte le precedenti simili, per capire più a fondo se dietro a una certa dose di aggressività legale come quella dimostrata da AP, non vi siano altri interessi che la spieghino meglio della nuda cronaca dei fatti.