I grandi operatori della tv tradizionale hanno da tempo compreso che il futuro televisivo è sul web. IP Tv, Web Tv, Tv on demand, sono i modelli che s’imporranno di qui al prossimo quinquennio.
Ma è un futuro che a loro non piace, anche se non possono fare a meno di confrontarvisi. Sanno, infatti, che l’affermazione di Internet come cardinale vettore dei contenuti audiovisivi prima insidierà, poi scuoterà e infine demolirà le rendite di posizione. Così anelano a complicarne l’accesso attraverso una intensa attività lobbistica, ostacolandone lo sviluppo, suggerendo e favorendo la positivizzazione di accrocchi normativi, determinati a ritardare il momento della resa dei conti. Emblema di questa strategia è il Decreto Romani, un pasticcio giuridico, contraddittorio, confuso, e obsoleto. Un decreto legislativo che con la scusa di recepire la direttiva europea sui servizi di media audiovisivi, anziché chiarire e semplificare, oscura e ingarbuglia. Un provvedimento normativo anacronistico. Come gran parte della tv tradizionale, del resto.