Tv. Viale Mazzini: un presidente Rai bocciato ma congelato, un AD che chiede deroghe al contratto di servizio. Da un mese si va avanti così…

direttore generale

In Viale Mazzini, alla Rai, tutto prosegue all’insegna della provvisorietà e dell’attesa, con una situazione congelata da oltre un mese e una stagione televisiva che inizia senza una sola certezza. Tutto è fermo a fine luglio-inizio agosto, quando, come ci si poteva aspettare, la Commissione di Vigilanza non ha confermato, in mancanza della  maggioranza molto qualificata richiesta, la designazione di Marcello Foa a presidente dell’azienda.
Questa situazione a Viale Mazzini era prevedibile, appunto, perché il presidente della Rai, come avevamo scritto circa un mese fa su questo sito, deve essere gradito o almeno ‘accettato’ dalla maggior parte delle forze politiche, di maggioranza ma anche di opposizione, visto che la sua figura, nei buoni propositi che sono stati concepiti da anni per una efficace governance dell’azienda e che sono previsti pure dalla legge in vigore (voluta da Matteo Renzi, che ha scelto di accentrare i poteri nelle mani dell’AD ma legandolo alle forze di Governo ancor più di quanto accadeva prima), resta quella di un personaggio ‘di riferimento’ un po’ per tutti.

Di qui la richiesta necessaria conferma da parte dei due terzi della Commissione di Vigilanza, in mancanza della quale il candidato espresso dal Cda di Viale Mazzini (di fatto su indicazione del Governo, che peraltro ne nomina gran parte dei membri) dovrebbe decadere, per lasciar posto ad altri.
Dovrebbe, appunto, perché questo finora non è accaduto in questa estate 2018, visto che la figura del designato alla presidenza di Viale Mazzini, ovvero il giornalista Marcella Foa, di tendenza ‘sovranista’ e voluto da Matteo Salvini, resta in campo, nonostante tutto. La Lega le sta provando tutte per cercare di farlo rieleggere, nonostante la bocciatura, e di fatto, complice l’estate, ha congelato l’azienda, costretta ad un’attesa che ha ormai dell’incredibile. Si è provato pure a creare una situazione ‘di fatto’ in cui Foa presiedesse comunque il Cda come membro anziano, ma il timore di ricorsi legali tutt’altro che improbabili in caso di decisioni rilevanti per l’azienda (come le nomine dei direttori di reti e testate) con questo assetto ha fatto sì che per adesso non si sia deciso assolutamente nulla, evitando anche sia la designazione di un altro candidato alla presidenza che la eventuale riproposizione del nome di Foa alla Vigilanza, circostanza su cui pure gravano numerosi dubbi di natura legale.

Intanto alcuni abbandoni di chi già si sente fuori posto in una Rai naturalmente e strutturalmente legata, per forza di cose, alla nuova situazione politica, alla nuova maggioranza giallo-verde e al Governo Conte, ci sono già stati: dopo Gerardo Greco che ha preferito il Tg4 ai Gr Rai, se ne va anche il direttore della Tgr (la più importante testata d’Italia per numero di giornalisti, tanto per gradire) Vincenzo Morgante, che andrà fra poche settimane a dirigere Tv2000 e Radio Inblu, emittenti della Cei rimaste senza direttore dopo che Papa Francesco ha scelto proprio il precedente direttore Paolo Ruffini (ex direttore anche di Rai3) quale nuovo capo della Comunicazione del Vaticano al posto del famoso e dimissionario Dario Viganò. E se n’è andato da Viale Mazzini anche il direttore dello sport Rai Gabriele Romagnoli, che aveva peraltro rapporti piuttosto tesi con la sua redazione.
Si tratta, come si vede, di figure di primo piano da sostituire in tempi ‘normali’ con una certa sollecitudine ma l’attenzione sembra invece concentrata su altro: gli equilibri politici fra Cinquestelle e leghisti, prima di tutto, di cui la designazione di Foa era parte integrante, in cambio di quella di Fabrizio Salini ad AD, per volontà di Luigi Di Maio, ma poi anche e soprattutto i direttori di reti e testate, da spartirsi con cura, con prevedibile ulteriore braccio di ferro (già in atto da molte settimane) sulla casella più importante, quella del Tg1.

C’è poi la questione che sembra davvero determinante in questa fase, ovvero quella del confronto-scontro nel Centro-Destra. È stata infatti la scelta di Berlusconi e di Forza Italia di non votare Foa in Vigilanza a determinarne la bocciatura e un mese dopo siamo ancora fermi a quel voto: Matteo Salvini, forte dei consensi crescenti, non molla e Silvio Berlusconi sembra talora tentennare, mentre altri in Forza Italia sono tuttora attestati sulla linea dura. L’ennesimo mitico incontro chiarificatore fra i due leader del Centro-Destra che potrebbe finalmente sbloccare la situazione della Rai viene annunciato e disdetto di continuo, con l’effetto che tutto resta di nuovo fermo a Viale Mazzini.
Di situazioni simili, assurde quanto roventi, la Rai ne ha già vissute parecchie e quindi non c’è in fondo molto di nuovo: bisognerà aspettare che la politica sblocchi il problema. Campa, allora, cavallo di Viale Mazzini e di Saxa Rubra…

L’aspetto più paradossale c’è stato intanto in queste ore, quando l’Amministratore Delegato della Rai Fabrizio Salini ha dovuto chiedere al Governo una deroga agli obblighi previsti dal recente Contratto di Servizio, peraltro approvato mesi fa dopo una travagliata gestazione, per via sempre dei tempi lunghi della politica, in quel caso quella a trazione prevalentemente renziana e del PD.
La mossa di Salini, su cui aveva premuto anche l’Usigrai, sembra peraltro obbligata (si suppone peraltro che il Ministero retto da Di Maio accorderà la deroga richiesta senza problemi), visto che l’attuale Rai ‘in sonno’ tutto può fare meno che approvare nei tempi previsti dal Contratto di Servizio in vigore (cioè entro l’8 settembre) nientemeno che il piano di riforma delle testate e delle news (l’attuale assetto risale di fatto agli anni ‘70-‘80), una cosetta su cui sono caduti direttori di testate e direttori generali (Campo Dall’Orto), oppure gli strumenti per contrastare le fake news, oppure il progetto del famoso nuovo canale Rai in inglese.
Morale: Salini deve aspettare giocoforza Salvini e dovrà farsene anche una ragione. (M.R. per NL)

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