In una recente risoluzione, approvata il 25 novembre, il Parlamento europeo impegna la Commissione ad agire per assicurare un futuro alle emittenti pubbliche dell’Unione.
Nelle motivazioni del provvedimento si ravvisa la presenza di almeno due campanelli d’allarme: il primo riguarda le risorse finanziarie sempre più scarse destinate al servizio pubblico radiotelevisivo; il secondo le crescenti pressioni politiche che ne minacciano l’indipendenza e l’imparzialità. In diversi paesi le emittenti pubbliche hanno difficoltà a stare al passo con l’innovazione tecnologica, accusando un ritardo nell’adozione delle piattaforme digitali (DTT, ma anche e soprattutto internet). Inoltre i sempre crescenti condizionamenti politici ed economici tendono a minare l’autonomia dei servizi pubblici e a lederne la credibilità come fonti imparziali di informazione. Da qui l’asserita necessità di adottare una politica più interventista dell’UE nel settore, che si dovrebbe realizzare sia tramite finanziamenti finalizzati al rinnovamento delle infrastrutture e dei servizi delle emittenti pubbliche, sia attraverso la costituzione di appositi organismi di monitoraggio che siano in grado di rendere conto del rispetto delle normative comunitarie in materia di libertà di espressione, pluralismo e indipendenza dei media. L’analisi rileva che, nonostante l’avvento di internet, in Europa la radiotelevisione “influenza i valori e le opinioni delle persone e rappresenta ancora la principale fonte di informazioni per la maggior parte dei cittadini”. Da qui la necessità di intervenire per salvaguardare l’assetto finora garantito dal cosiddetto “sistema duale”, ovvero la coesistenza di emittenti pubbliche e commerciali che ha caratterizzato il mercato dei paesi europei, ottenendo buoni risultati in termini di qualità e diversificazione dei contenuti, pluralismo e libertà di informazione. Un sistema che tuttavia appare in crisi proprio nei suoi presupposti di concorrenzialità come stimolo al miglioramento qualitativo. I soggetti pubblici per sopravvivere sono sempre più costretti a sottoporsi a scelte politiche contingenti e a logiche commerciali che ne snaturano il ruolo. I privati sono invece spesso impegnati a sostenere interessi economici più o meno trasparenti. La regolazione nazionale, alla quale finora le istituzioni comunitarie hanno lasciato ampi spazi di manovra, sembra non essere sempre all’altezza della situazione e appare anche in ritardo rispetto agli orizzonti aperti dalle nuove piattaforme digitali, che implicano inevitabilmente l’ingresso in campo di nuovi soggetti: dall’alto, come gli operatori tlc e i service provider, o dal basso, come gli utenti “generatori di contenuti”. Un forte richiamo dell’Unione, quindi, a favore di una rivalutazione in senso “alto” dell’idea di servizio pubblico radiotelevisivo, che in certi suoi aspetti (vedi l’invito agli stati membri “a porre fine alle interferenze politiche relative ai contenuti dei servizi offerti dalle emittenti di servizio pubblico”) sembra particolarmente attagliarsi alle nostre vicende domestiche. Un modo per ricordarci che la radiotelevisione non è solo un modo come un altro per intrattenere o vendere prodotti e personaggi, ma anche il principale strumento attraverso il quale viene costruita e orientata la nostra visione del mondo. (E.D. per NL)