Il colosso francese saluta il primo semestre 2017 con percentuali positive in termini di conti finanziari: i ricavi crescono del 7,8% (4,8% a perimetro costante) raggiungendo la cifra di 5,4 mld di euro, il margine operativo lordo (MOL) raggiunge i 352 mln e l’utile netto si attesta sui 320 mln di euro con una percentuale di crescita pari al 12%.
Non altrettanto bene invece i conti sul versante Canal+: nei primi sei mesi i ricavi della pay tv sono diminuiti del 2,7% arrivando a quota 2,5 mld di euro (attività francesi e non nella loro globalità) e l’ebitda ha registrato -40,5% pervenendo a quota 171 mln.
Sul fronte musicale il business di Universal Music Group è cresciuto del 15,2% (rispetto al primo semestre 2016) e presenta un margine operativo lordo in crescita del 61,6% con 286 mln di euro, grazie anche ai ricavi ottenuti dai servizi streaming che hanno compensato le perdite dei download della musica digitale e le vendite su supporto fisico.
Restando in tema, ad aprile Universal ha stretto un accordo con Spotify tramite il quale potrà usufruire dell’opportunità di accesso ai dati di consumo del servizio musicale digitale (e forse anche a quelli relativi i suoi utenti).
Come da cornice al suo resoconto semestrale, Vivendi ha dichiarato che non vige nessuna minaccia di controllo dominante su Telecom: “La quota che Vivendi detiene non è sufficiente per consentire ad esso di esercitare, su base stabile, un’influenza dominante sulle assemblee”. Dunque, la partecipazione del gruppo francese nel capitale della società di telecomunicazioni non potrebbe, a detta dei francesi, comportare nessuna violazione ai sensi del Testo Unico della Finanza e del Codice Civile.
Di tutt’altro avviso, invece, gli organi di vigilanza italiani, Consob e Agcom in testa: quest’ultima, infatti, aveva ricevuto il 31/07/2017 una comunicazione da parte della società Vivendi S.A. volta ad integrare e modificare parzialmente il piano di ottemperanza alla Delibera n. 178/17/CONS presentato da Vivendi S.A. in data 19/06/2017, finalizzato ad eliminare la posizione di influenza notevole in Mediaset (che non sarebbe un problema se Vivendi non controllasse Telecom Italia). In una nota, Agcom precisava sul punto: “In attesa di nuove interlocuzioni, che si rendono necessarie, tra gli uffici competenti e la società Vivendi S.A. al fine di dettagliare le modalità attraverso cui la suddetta società intenda rimuovere strutturalmente la posizione vietata“.
Ricordiamo che la soluzione all’obbligo imposto da Agcom non può che consistere nel neutralizzare gli effetti dell’influenza dell’importante partecipazione in Mediaset (28,8% del capitale e il 29,9% dei diritti di voto, mentre Fininvest ha oltre il 41%), oppure nel trasferire la quota di Telecom Italia (e quindi di Vivendi) nel network provider DTT Persidera per ottemperare alle richieste della Commissione europea.
L’organo UE aveva dato il via libera condizionato all’acquisizione del controllo de facto dell’operatore telefonico italiano da parte dei francesi di Vivendi a patto che il colosso dismettesse l’impegno sul DTT.
Per la Commissione europea la presenza del player d’Oltralpe in Telecom Italia e in Mediaset crea di fatto pericoli per la concorrenza, posto che il Biscione controlla altrettanti multiplexer sul DTT e quindi il peso “relativo” di Vivendi sulla piattaforma digitale terrestre in Italia sarebbe di addirittura 10 bouquet nazionali.
Sempre in tema della vicenda Mediaset, nel resconto economico-finaniario si legge anche una nota dal sapore piuttosto amaro, di cui peraltro abbiamo già dato conto: Vivendi ha rivelato l’ultima richiesta da parte di Mediaset per la questione della scalata ostile e la rottura dell’accordo stipulato nel 2016 che aveva come oggetto la vendita di Premium alla società transalpina. Tre mld di euro richiesti: due mld a Mediaset e RTI e un mld a Fininvest come risarcimento danni ed interessi. Ovviamente, quest’ultima richiesta non si sostituisce alla prima ma si aggiunge ai 50 mln per ogni mese di ritardo a partire dal 25 luglio 2016 previsti dalla prima azione legale e agli altri 570 mln per il danno subito alla variazione del titolo azionario Mediaset nel periodo dal 25 luglio al 2 agosto 2016 e al danno causato a Fininvest in termini di immagine (Mediaset ha addossato alla vicenda Vivendi i deludenti risultati di bilancio dello scorso esercizio).
Nel tentativo di cercare una soluzione alla diatriba è in corso una mediazione (iniziata lo scorso 3 maggio) presso la Camera arbitrale nazionale e internazionale di Milano che se dovesse fallire lascerebbe la questione solo nelle mani del tribunale.
Ma forse c’è speranza di conciliazione, o meglio, di collaborazione: le ultime indiscrezioni dal fronte transalpino parlano della volontà di Vivendi di proporre a Mediaset un ruolo nella joint venture di Tim e Canal+ al fine di costituire un nuova pay-tv dal nome Canale+ (con l’ipotetica proposta di film di Studio Canal e fiction prodotte in Francia), di cui peraltro avevamo già fornito anticipazioni. In questo modo, l’azienda del Biscione entrerebbe a far parte del progetto che mira a frenare l’avanzata di Netflix (e delle altre piattaforme digitali) e Vivendi potrebbe prevedere la cessione del suo totale o parziale 29% di azioni al Biscione e la detenzione di un ruolo prestigioso di quest’ultimo nell’alleanza, come gesto di pace per risanare gli screzi passati. Oltre ovviamente a risolvere la spinosa questione di Persidera.
Se Mediaset considererà questa ipotetica proposta una possibile riconciliazione ancora non è dato saperlo. (L.M. per NL)