La relazione annuale dell’Autorità di garanzia per le comunicazioni ha sottolineato nei giorni scorsi la fine del duopolio televisivo Rai-Mediaset con il sorpasso di Sky sul Biscione in termini di ricavi, ma il problema del pluralismo resta vivo, come dimostrano i dati sull’audience.
E’ l’opinione espressa da Michele Polo in un intervento sul sito lavoce.info dopo che il 7 luglio il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò ha evidenziato che nel 2008 i ricavi per operatore hanno visto al primo posto la Rai con 2.723 milioni, seguita da Sky Italia con 2.640 milioni e da Rti (Mediaset) con 2.531 milioni. "Un forte riequilibrio delle risorse tra Rai, Sky e Mediaset è un dato che da almeno tre anni caratterizza il sistema televisivo italiano", nota Polo secondo cui, però, questo messaggio "ha lasciato in ombra alcuni aspetti che invece risultano importanti nel fare il quadro dell’ultimo anno televisivo". Innanzitutto, dice l’economista, il gruppo Mediaset si è confermato leader sul mercato pubblicitario aumentando la sua quota dal 54,7% al 55,1%, "una posizione dominante che la stessa legge Gasparri, all’articolo 14, invita a valutare, e su cui attendiamo nei prossimi mesi la nuova istruttoria dell’Agcom". Sky domina invece il mercato dell’offerta a pagamento con una quota del 91,1%. Polo considera ancora più rilevanti i dati pescati sempre nella relazione Agcom sull’audience, "vero indicatore di allarme rispetto al problema del pluralismo". L’audience complessiva di Rai, Mediaset e La7, pari all’83,9%, nel 2008 ha ceduto una quota dell’1,4% di telespettatori al gruppo Sky, che con l’insieme dei suoi canali raggiunge una audience media del 9,5%. "La crescita indubbiamente positiva di un terzo operatore pay, il gruppo Sky, esercita principalmente un impatto sul mercato dei contenuti, dove la concorrenza (…) si fa sempre più accesa", ma solo un riequilibrio della audience – osserva Polo – "potrebbe realmente portare a una maggiore articolazione delle scelte del pubblico, con un beneficio per l’obiettivo del pluralismo". La pay-tv, spiega, "è un modello di televisione che non ha bisogno di grandi livelli di audience e che erode selettivamente fasce di pubblico (…) lasciando, almeno in una prospettiva temporale ancora lunga, gran parte dei telespettatori ai grandi canali generalisti". Polo non si aspetta quindi cambiamenti neanche nel prossimo futuro. "Le fughe in avanti di quanti vedono nel digitale, e nei molti canali che consente, la fine del mondo televisivo tradizionale non sono giustificate dalle forze economiche che governano il settore dei media né dai dati, se si ha l’accortezza di riportarli", conclude. (Reuters)