Un lungo e toccante monologo del giornalista-scrittore fa volare gli ascolti della trasmissione di Fazio: 4,5 milioni di spettatori e lo share più alto nella prima serata di mercoledì. Quando si parla di criminalità organizzata, di mafia, di camorra, di ‘ndrangheta, si comporta come le tre scimmiette: non vede, non sente e, soprattutto, non parla. È questa l’accusa che Roberto Saviano, in un lungo monologo durato 40 minuti davanti alle telecamere di “Che tempo che fa”, ha rivolto alla televisione italiana. Colpevole, al pari della politica (e forse proprio per l’ingerenza di quest’ultima) di non trattare l’argomento con la dovuta attenzione, con l’attenzione che merita una questione così presente e così tristemente attuale, perché ritenuto “un argomento perdente”. A giudicare dagli ascolti ottenuti dall’ultima puntata della trasmissione di Fazio, con ospite proprio il giornalista di Casal di Principe, la sete che i telespettatori hanno di questo argomento è fortissima. 4 milioni e 561 mila spettatori, il 19% di share ed il miglior risultato tra i programmi in chiaro di prima serata mostrano come, non solo Saviano sia oramai un “peronsaggio mediatico” dall’appeal fortissimo ma come, probabilmente, troppo poco o male si parli di questi problemi sui media mainstream. Il giornalista non ha mai fatto segreto del fatto che la popolarità che ha raggiunto a livello globale e che gli è valsa non solo una vita da recluso, con guardie del corpo al seguito, ma anche un’agiatezza economica improvvisa ed inaspettata, sia uno strumento del quale egli non intende privarsi. È l’unico modo, dice, per arrivare ad un gran numero di persone, per far parlare di sé e, di conseguenza, dei problemi ch’egli, e pochi altri, mettono in piazza. Nel bene o nel male, l’importante è che se ne parli. Lo diceva Andreotti, presumibilmente non proprio un modello per Saviano. Parlare di Roberto Saviano, però, equivale a parlare della camorra, dei casalesi, di problemi di natura economica, di natura sociale, con i quali troppo a lungo si è stati abituati a convivere, a prendere come qualcosa d’assodato, di inevitabile. Durante l’ultima puntata di “Che tempo che fa”, il giornalista-scrittore ha parlato del silenzio della tv ma anche, e soprattutto, del silenzio della politica riguardo la questione della criminalità organizzata. “Un argomento perdente”, l’ha definito. E poi ha aggiunto: “Nell’ultima campagna elettorale da qualsiasi parte non si è parlato di mafia perché c’era l’impressione che la gran parte della gente non fosse interessata”. Poi Saviano arriva in tv e fa 4,5 milioni di spettatori, alla faccia dello scarso interesse della gente. Forse si cerca solamente di far credere la gente non sia interessata ed il fatto che un semi-sconosciuto giornalista napoletano diventi nel giro di un anno un personaggio mediatico così forte, così scomodo, che si veda appiccicare addosso etichette di “arricchito con la mafia”, o di “maniaco di protagonismo”, non può che essere un bene. Ai nostri tempi un argomento, una issue, è tale solo quando i media ne parlano. Poco male se si tende a semplificarlo, se si tende ad ingigantirlo, o semplicemente se si utilizza come cavallo di Troia per vincere battaglie di share e intascare più soldi dalle pubblicità. Sempre meglio del silenzio. (Giuseppe Colucci per NL)