Con la sentenza n. 25385 del 5 luglio 2010 – udienza 5 maggio 2010 – la Suprema Corte si è pronunciata affermando che costituisce reato vendere o pubblicizzare gli apparati – denominati splitter o splitty – che consentono a più decoder privi di autonoma smart card di ottenere le credenziali di accesso per la decodifica del segnale satellitare.
Si tratta del sistema con cui è possibile vedere in contemporanea su più apparecchi televisivi i programmi codificati trasmessi, potendo ciascun utente del singolo televisore scegliere di visionare, nello stesso istante, programmi differenti. È interessante notare che i Giudici di merito di primo e di secondo grado avevano assolto l’imputato dal reato previsto dall’art. 171-octies della legge n. 633/41 sulla protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. La norma prevede la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa da euro 2.582,00 ad euro 25.822,00 per chiunque “a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato (…)”. Il Tribunale di Trento, sez. dist. di Tione, con sentenza del 30 maggio 2007, assolveva l’imputato dalla commissione del reato ascrittogli consistente nell’avere, in concorso con altri, a fini fraudolenti, posto in vendita e promosso, tramite apposito sito internet, i suddetti splitter al fine di eludere la codificazione delle trasmissioni televisive ad accesso condizionato di Sky Italia S.r.l. Il Tribunale riteneva che, anche se nel caso di specie la ricezione dei programmi attraverso gli splitter era avvenuta attraverso l’utilizzo di una smart card lecitamente acquistata, si configurasse la previsione di reato prevista dall’art. 171-octies della legge sul diritto di autore, ma che non ne sussistesse nello specifico l’elemento soggettivo. In pratica, secondo il Giudice di prima istanza, non vi era prova che la condotta fosse stata posta in essere “per fini fraudolenti e, cioè, con il fine di inganno, o alternativamente di profitto o di danno per la controparte contrattuale”. Secondo il Tribunale l’utilizzazione degli splitter costituiva “semplice agevolazione alla fruizione di un’utenza alla quale il consumatore aveva diritto di accesso per avere pagato il relativo canone”. Pertanto l’imputato andava assolto. La Corte di Appello di Trento, pronunciandosi sull’impugnazione proposta dal Procuratore Generale della Repubblica, assolveva l’imputato con la più ampia formula secondo cui il fatto non sussiste. Secondo la Corte di merito gli apparati splitter costituivano una innovazione tecnologica, per la quale era anche stato richiesto il brevetto, rivolta a potenziare la resa di funzionamento del sistema originale, unico deputato a decriptare il segnale codificato. Obiettivo dell’apparato – a giudizio della Corte d’Appello – era solo quello di potere condividere, in un ambito domestico, con un’unica smart card originale, più ricevitori televisivi. L’uso illegittimo vi poteva essere solo qualora fosse provato che l’accesso ai programmi Sky fosse avvenuto anche a favore di terzi, condomini, vicini, etc. che non pagavano il canone all’operatore satellitare, determinando così una lesione dei diritti di privativa della titolare delle trasmissioni. Per la Corte non aveva, poi, alcuna rilevanza penalistica il fatto che nel 2006 Sky avesse introdotto la regola della singola smart card sul singolo apparecchio, nonché che avesse promosso l’offerta multivision consistente proprio nella possibilità, con un piccolo aumento del canone, per chi fosse già in possesso di smart card, di visionare in contemporanea, su due o più televisori, lo stesso canale o due o più canali differenti. Tale questione riguardava dunque solo limiti di carattere contrattuale e civilistico. La Corte di Cassazione, investita della controversia su ricorsi proposti sia da Sky Italia S.r.l. che dal Procuratore Generale della Repubblica, ha ritenuto illogica, contraddittoria nonché carente la motivazione della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Trento, per cui l’ha annullata (rinviando ad altra sezione della stessa per la pronuncia sul merito). La Suprema Corte ha innanzitutto dato rilevanza all’elaborato, depositato agli atti, di un consulente peritale incaricato dalla Procura. Il perito aveva infatti concluso che “il dispositivo splitty replica le credenziali contenute all’interno della smart card inserita nell’unità principale e consente a più decoder privi di regolare ed autonoma smart card di ottenere le credenziali per la decodifica di un segnale satellitare protetto da sistemi di cifratura”. Il consulente, dunque, faceva notare con tale sistema venivano distribuite a più utenti le (sole) credenziali necessarie alla visione dei canali televisivi ad accesso condizionato. Quindi “lo splitter aveva unicamente la finalità di eludere la protezione che il gestore attua con la smart card”, per cui il perito riteneva che “nessuno utilizzo commerciale diverso da quello elusivo indicato potesse essere ipotizzato per il sistema in questione”. La Suprema Corte ha rilevato come la Corte d’Appello, a differenza di quanto anche sostenuto dal Tribunale, avesse, non correttamente, sostenuto che il congegno in esame fosse estraneo alla decodificazione del segnale, fatto smentito dalle fonti di prova, fra cui anche la consulenza sopra richiamata. Non appariva neppure corretta, agli occhi della Suprema Corte, la motivazione della Corte d’Appello che ha ritenuto legittimo l’uso dello splitter nell’ambito di un contesto ristretto di utenti. Infatti, anche in tale caso, l’uso del congegno comportava comunque un danno per Sky che, a causa di ciò, non poteva beneficiare di ulteriori introiti provenienti da nuovi abbonamenti. Non vi è poi alcun dubbio che la possibilità di aggirare il pagamento del canone, anche in riferimento all’offerta multivision, abbia rilevanza ai fini della valutazione della sussistenza, nel caso di specie, degli “intenti fraudolenti” previsti dalla norma. L’art. 171-oclties legge n. 633/71 – afferma il Supremo Collegio – “vietando la produzione, la vendita, l’importazione (…) a fini fraudolenti di apparati o parti di apparati “atti alla decodificazione” di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica che digitale, intende perseguire l’astratta idoneità del congegno a consentire il perseguimento delle finalità vietate in ragione della potenzialità offensiva che in esso è insita, a prescindere dall’utilizzo concreto che poi se ne faccia”. (D.A. per NL)