La riforma del Tusmar proposta dal Ministro dei beni culturali Dario Franceschini continua ad infrangersi contro le resistenze degli editori tv. La bozza del Ministro, lo ricordiamo, prevede un innalzamento delle quote di investimenti obbligatori in produzioni europee, italiane e indipendenti (dall’attuale 10% del fatturato, si passerebbe al 20% entro il 2019).
Sulla questione è stato aperto un dialogo – che al momento è più uno scontro – tra Ministero e televisioni (tra cui Rai, Mediaset, La7, Sky, Discovery, Viacom, Fox, Walt Disney e De Agostini) che hanno accusato il ministero di non aver effettuato un’accurata analisi degli impatti economici e giuridici della riforma proposta. Secondo gli addetti ai lavori, infatti, l’innalzamento delle quote pensato da Franceschini comporterebbe un aumento di spesa in contenuti di 500 milioni di euro, che andrebbero così sottratti ad altre voci di spesa, mettendo addirittura a rischio l’occupazione del comparto (90 mila occupati tra broadcaster e indotto). Gli editori hanno sottolineato come gli investimenti in opere indipendenti siano già molto importanti (10 miliardi di euro negli ultimi 12 anni) e si aggiungano alle centinaia di milioni di euro versati alla Siae e al fondo dello spettacolo (attraverso il pagamento dell’Iva). Tali obblighi di contribuzione non investono invece il comparto concorrente degli over-the-top, che sarebbe così avvantaggiato rispetto alle televisioni. Giuridicamente, poi, la proposta di riforma è vista, da un lato, come un’imposizione che limita l’autonomia degli editori e la libertà imprenditoriale, dall’altro come una misura tesa a favorire solo alcuni settori della produzione indipendente (e non altri).
Oltre a queste lamentele, gli editori hanno rinfacciato al Ministro Franceschini di aver condotto trattative solo con alcune televisioni, escludendo altre dal dialogo sulla questione che, per la sua delicatezza meriterebbe il massimo dell’inclusione. (V.D. per NL)