Lunedì 2 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo che incrementa gli obblighi di programmazione e investimento delle emittenti televisive nelle produzioni italiane ed europee; secondo il Ministro proponente Dario Franceschini (Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo) si tratta di “un provvedimento concreto che serve a aiutare, tutelare e valorizzare il cinema, la fiction e la creatività italiane”.
A poco sono servite le proteste dei broadcaster all’indirizzo di Franceschini, promotore della nuova norma (che si sostanzia in una riforma dell’art. 44 Tusmar, Testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici) che ha subìto solo una limatura del testo nella parte in cui quantifica le quote di introiti netti annui che le emittenti devono investire in opere europee e italiane.
Bisogna tenere ben presente che si tratta, al momento, solo di uno schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri e che l’iter per la trasformazione in legge è ancora molto lungo (discussione Parlamentare, parere del Consiglio di Stato e delle Commissioni Stato-Regioni) e può riservare sorprese (ad esempio emendamenti in sede di Commissione parlamentare).
Ecco il nuovo contenuto dell’art. 44 Tusmar, secondo quanto riportato dal Consiglio dei Ministri nel comunicato stampa ufficiale inerente la seduta del 2 ottobre: riguardo gli obblighi di programmazione (cioè del tempo di trasmissione da destinare a determinati contenuti) tutti gli operatori dovranno destinare alle opere europee una quota pari al 55% dal 2019, elevata al 60% a partire dal 2020, percentuali al cui interno è prevista una sotto-quota da destinare alla programmazione delle sole opere italiane, che per la Rai è pari alla metà (27,5% nel 2019 e 30% nel 2020) e per gli altri operatori ad un terzo (18% nel 2019 e 20% nel 2020). Sono previsti obblighi di programmazione puntuali per il prime time, cioè la fascia oraria 18-20, in cui dovrà essere inserita almeno 1 opera italiana a settimana tra film, documentari e cartoni animati (2 opere, di cui una cinematografica, nel caso della Rai).
Per quel che riguarda invece gli obblighi di investimento, la norma stabilisce che la Rai nel 2018 dovrà destinare il 18,5% dei ricavi complessivi annui all’acquisto o produzione di opere europee, quota innalzata al 20% nel 2020; per gli altri operatori, invece, la base sarà sempre costituita dagli introiti netti annui e le quote minime da destinare alle opere europee saranno innalzate al 12,5% entro il 2019 e al 15% entro il 2020, anche qui con la previsione di sotto-quote riservate alle opere italiane (dal 4% nel 2018 al 5% nel 2020 per la Rai; dal 3,5% nel 2018 al 4,5% nel 2020 per gli altri operatori).
Per la prima volta, poi, la regolamentazione sugli obblighi di programmazione e investimento viene estesa agli over-the-top, quindi anche a Netflix (piattaforma additata come nemico numero uno dai broadcaster) anche se non è ancora noto in quale misura: la disposizione è stimolata dalle indicazioni dell’UE sul punto ed è da apprezzare per il tentativo di ridurre il vantaggio ingiusto degli ott rispetto agli altri operatori, derivante da un vuoto normativo (Netflix e simili, infatti, fin ora sono scarichi dagli obblighi di cui si discorre e da quelli contributivi).Il ministro Franceschini ha orgogliosamente pubblicizzato l’approvazione dello schema in un tweet: “Passa in Consiglio Ministri lo schema di Decr lgs che aiuterà le produzioni di cinema e opere italiane anche portandole in prime time tv”, anche se l’intenzione originaria era quella di un raddoppio secco delle quote previste nel Tusmar già nel 2019.
La reazione decisa delle emittenti televisive allarmate dall’ingerenza nei propri affari, aveva però costretto il Ministro a cercare un compromesso tra la volontà di sostenere le produzioni europee e italiane e le richieste di tutela dei broadcaster.
Il Mibact, con il provvedimento in parola, ritiene di aver trovato il bilanciamento tra le istanze, come si legge in un comunicato stampa pubblicato sul sito del ministero: “il testo, maturato a seguito di consultazioni con tutte le parti e che ha recepito anche le indicazioni dell’Agcom, raggiunge un ottimo punto di equilibrio e introduce procedure più trasparenti ed efficaci. Con riferimento agli obblighi di programmazione e di investimento, il decreto prevede una gradualità, scandita in più anni, per l’entrata a regime delle nuove quote minime per la promozione di opere europee e italiane. È prevista una moratoria del 2018 per consentire ai fornitori di servizi media il progressivo adeguamento alla nuova disciplina. Sarà l’Agcom a verificare il rispetto degli obblighi e a comminare le sanzioni, che il decreto aumenta sensibilmente (fino a un massimo di 5 milioni di euro o il 2 per cento del fatturato). Il decreto anticipa inoltre quanto previsto nel nuovo testo della Direttiva Eu sui ‘servizi media e audiovisivi’, in via di definizione, e introduce obblighi di programmazione e investimento anche per l’on demand (Netflix, Amazon, ecc.)”.
Non sono dello stesso avviso le televisioni (tra le altre, Rai, Mediaset, La7, Discovery, Sky, Fox, Disney, Viacom e De Agostini) che lamentano invece di non essere state ascoltate in alcuna delle richieste e osservazioni inoltrate al Consiglio dei Ministri: in particolare, i broadcaster denunciano che lo schema di decreto non sia fondato (come sarebbe stato opportuno) su un’approfondita analisi dei dati sugli investimenti e sulle dinamiche di mercato, e che – una volta diventato legge a tutti gli effetti – inciderebbe negativamente sull’intera produzione audiovisiva italiane e sull’occupazione del settore. Tra l’altro gli editori ritengono di investire già in maniera importante nelle opere indipendenti e che gli incrementi possono avvenire (ad avvengono) naturalmente, senza imposizioni normative.
Molto diversa, per ovvi motivi, la posizione di autori e produttori (tra cui l’associazione dei produttori indipendenti Anica, e quella dei produttori televisivi Apt, l’associazione 100autori e il regista premio Oscar Gabriele Salvatores) che salutano con favore lo schema di decreto che assicura loro nuove risorse; per loro l’imposizione normativa è l’unica garanzia a fronte dello strapotere dei broadcaster e della mancanza di vigilanza di una troppo debole AgCom: “cinema e tv – ha affermato il regista Salvatores – hanno bisogno di una politica integrata e coordinata, di provvedimenti capaci di favorire la produzione di nuovi contenuti originali e di qualità”.
La presenza di interessi così fortemente contrapposti renderà l’iter legislativo parecchio movimentato, quindi per un’analisi più compiuta dovrà attendersi almeno la conclusione dell’esame da parte delle Commissioni parlamentari. Nel frattempo, sebbene si possa in linea di principio concordare con la volontà di sostenere e stimolare l’industria cinematografica nostrana, ci si chiede se la strada più appropriata per raggiungere l’obiettivo sia davvero quella dell’imposizione normativa (che non interviene, per esempio, su uno dei deficit maggiori dell’industria audiovisiva italiana, quale l’esportazione) e, qualora così fosse, se lo schema di decreto approvato sia davvero frutto di una ponderazione accurata circa gli effetti sull’economia e l’organizzazione delle emittenti televisive, rapportata ai benefici per l’apparato di produzione di cinema e fiction. (V.D. per NL)