"La Rai, se finora è stata giudicata per quello che mette in onda, d’ora in poi sarà guardata per quello che mette in moto. E di questo, l’indice di misura principale non sarà né l’Auditel, né un fantomatico Qualitel”.
Queste le parole pronunciate dalle associazioni dell’audiovisivo 100 autori, AGPCI (giovani produttori cinematografici), ANAC (autori cinematografici), ANICA (industrie cinematografiche audiovisive multimediali), APT (produttori televisivi), ART (registi tv), DOC/IT (documentaristi italiani), PMI Cinema e Audiovisivo (microimprese dell’audiovisivo), che si sono riunite lo scorso venerdì 29 agosto al Lido di Venezia per redigere una proposta su “La TV che serve alla creatività e all’industria italiana", in vista della Consultazione annunciata dal Governo per il rinnovo della Concessione in esclusiva del Servizio Pubblico radio-tv, che dovrebbe aprirsi il prossimo settembre. Tutte le associazioni, come si legge in un articolo di sabato 30 agosto apparso su ItaliaOggi, hanno definito “un fallimento di mercato” l’intera industria italiana del settore comunicazione e il servizio pubblico, che nel nostro paese coincide con l’offerta di cultura e spettacoli proposta dalla Rai. La soluzione, vista la sovrabbondanza dell’offerta, dovrà passare per la creazione di un nuovo sistema industriale esteso e vivace, che produca contenuti d’intrattenimento legati a forti valori civici. In altre parole le otto associazioni spingono per un futuro comparto capace di generare più lavoro e al contempo di spendere meglio le risorse – “la sottoccupazione discende dalla sottoproduzione causata a sua volta dalla dispersione delle risorse economiche su un eccessivo numero di reti generaliste o tematiche che si riempiono di programmi”, hanno sentenziato in coro -. Lo spreco delle risorse pubbliche, che è sempre più oggetto di critica, sarebbe dunque imputabile principalmente all’organizzazione del lavoro e alla ripartizione dei compiti: ecco spiegato il perché del programma di rinnovamento promosso dalle associazioni riunite a Venezia in occasione della Mostra del Cinema, sintetizzabile in cinque punti essenziali. In primis sarebbe opportuno un numero di canali più ristretto, seguito dalla separazione societaria delle attività sovvenzionate con risorse fiscali da quelle sovvenzionate con pubblicità; seguono poi una diversa gestione dei diritti, che liberi la creatività degli autori e favorisca la crescita dei produttori indipendenti, unita a una durata decennale della Concessione, terminando con la proposta di una governance duale, con un consiglio di indirizzo e sorveglianza che rappresenti gli obiettivi definiti in Convenzione e che nomini il vertice dell’azienda. Il cambiamento sarà auspicabile soltanto nel caso in cui “venga rovesciata la logica secondo la quale è più importante il contenitore del prodotto. Il contenuto è sovrano. La sovrabbondante offerta di informazione, di cinema e di prodotti audiovisivi su tutte le piattaforme, rende meno necessari i canali pubblici nazionali e lineari. E le missioni del Servizio Pubblico si misurano, oltre che sui valori editoriali, sulla vitalità del sistema industriale che produce e che esporta nel mondo. A maggior ragione per l’Italia, che fonda sulla immagine gran parte della attrattività di tutti i suoi prodotti". In una società che si appresta via via a diventare sempre più globale, urge quindi che la Rai sappia “parlare al mondo, per produrre e vendere sia flussi di informazione sia prodotti video e sceneggiati” hanno concluso i firmatari della proposta. (V.R. per NL)