Blob vent’anni dopo Blob. Ovvero: vent’anni di blob condicio. Utile e bizzarro ricordare che lo spazio di blob, prima di quel 17 aprile 1989 in cui prese il via il programma, era stato occupato e tenuto per quindici mesi dalla precisione aristotelica implacabile e potente della prima ‘produzione’ di Schegge, ovvero Vent’Anni Prima, pesante e insieme fantasmagorica sfilata quotidiana delle immagini e dei ‘servizi’ dei tg dello stesso giorno di vent’anni prima”.
Così Enrico Ghezzi, parla della trasmissione di Raitre che domani, venerdì 17 aprile festeggia i 20 anni. “Ora – sostiene Ghezzi – arrivata la televisione al proprio ‘vent’anni dopo Blob’, appare chiara una sorta di anomalia psicolinguistica già nel titolo del serio troppo serio “vent’anni prima”. Non un ‘vent’anni fa’ inserito nel flusso del o di un presente. Vent’anni ‘prima’ di un flusso che è già riflusso, condanna stretta alla ripetizione e al ritorno, nastro di moebius che si svolge e riavvolge a ogni istante. L’inanità della celebrazione del ventennio blobbista può e forse deve far spazio alla ricorrenza, al puro ‘ricorrere’. Due anni fa (diciott’anni ‘dopo’) giocammo con l’impossibile diventar maggiorenne di Blob, il suo non mettere la testa a partito, dato che la sagesse ne viendra jamais (Debord). Ora, cosa resta di blob, se non proprio il suo resistere all’evoluzione, alle maschere del progresso televisivo e non? Blob è il giochino di una sera, che esibisce la ripetizione e il mancare flagrante dell’originale già nella più primigenia e ultracentenaria delle immagini; o è missione impossibile e suicida, migliaia di ore di un rimontaggio ininterrotto e inesausto, eppure stanco fin dall’inizio, malato dello sfinimento dell’epidemia televisiva. In mezzo, un continuo surplace, un ritorno e un riconoscimento continuo, il trasalimento angoscioso del riconoscersi ripetizione. Possiamo anche far finta di saperla lunga, sul funzionamento e il senso della tv. Ma questa è ideologia del blobbismo, inteso come trucco di linguaggio e di montaggio, critica facile o espiazione vendicativa. Blob non la sa lunga, la fa lunga e lunghissima, a partire dal più irrilevante degli istanti in cui appaiono condensarsi tutta la storia e il desiderio del mondo. Blob è la capsula iniettata nel sangue del corpo televisivo diffuso, immessa in tale corpo per un viaggio allucinante che forse cerca un virus mimandone e seguendone gli stessi movimenti, essendone il tracciato e infine direttamente essendolo. Infine e senza fine (perché mai interromperlo in un ‘adesso’, quando gia’ dopo quindici giorni ci avvenne di pensare che avremmo smesso lì, una volta verificato l’automatico brillante (im)meritato ‘successo’ di un programma che era il trionfo del ‘già successo’ dell’accaduto del nulla televisivo formicolante?), persistendo in una ‘blob condicio’ ambigua che a ogni elezione micro o macro (è il caso di ‘questi giorni’ o di questo terremoto), lo considera o lo sospinge, nel recinto comico e ideologico della satira, blob non può e non vuole celebrarsi oltre la propria anacronistica ostinazione di essere in onda, quasi cancellato e ancora visibile in essa. Tanto che diverte se mai fingere di sognare quello che sembrerebbe una proposta troppo poco indecente o un sogno smisurato, meglio se già sognato e praticato in quest’anno che muterà tutta la tv in Italia senza mutarla, cambiandone ‘solo’ la sostanza. Nell’orizzonte dello schermo digitale, portare alla massima visibilità l’invisibilità di blob e la sua ‘indifferenza’ (o viceversa). Una rete digitale tutta intera mutata in blob per cento o mille ore o mille giorni, un intero canale incessantemente dissodato arato seminato alluvionato bruciato ; blobbato”.
Così Enrico Ghezzi, parla della trasmissione di Raitre che domani, venerdì 17 aprile festeggia i 20 anni. “Ora – sostiene Ghezzi – arrivata la televisione al proprio ‘vent’anni dopo Blob’, appare chiara una sorta di anomalia psicolinguistica già nel titolo del serio troppo serio “vent’anni prima”. Non un ‘vent’anni fa’ inserito nel flusso del o di un presente. Vent’anni ‘prima’ di un flusso che è già riflusso, condanna stretta alla ripetizione e al ritorno, nastro di moebius che si svolge e riavvolge a ogni istante. L’inanità della celebrazione del ventennio blobbista può e forse deve far spazio alla ricorrenza, al puro ‘ricorrere’. Due anni fa (diciott’anni ‘dopo’) giocammo con l’impossibile diventar maggiorenne di Blob, il suo non mettere la testa a partito, dato che la sagesse ne viendra jamais (Debord). Ora, cosa resta di blob, se non proprio il suo resistere all’evoluzione, alle maschere del progresso televisivo e non? Blob è il giochino di una sera, che esibisce la ripetizione e il mancare flagrante dell’originale già nella più primigenia e ultracentenaria delle immagini; o è missione impossibile e suicida, migliaia di ore di un rimontaggio ininterrotto e inesausto, eppure stanco fin dall’inizio, malato dello sfinimento dell’epidemia televisiva. In mezzo, un continuo surplace, un ritorno e un riconoscimento continuo, il trasalimento angoscioso del riconoscersi ripetizione. Possiamo anche far finta di saperla lunga, sul funzionamento e il senso della tv. Ma questa è ideologia del blobbismo, inteso come trucco di linguaggio e di montaggio, critica facile o espiazione vendicativa. Blob non la sa lunga, la fa lunga e lunghissima, a partire dal più irrilevante degli istanti in cui appaiono condensarsi tutta la storia e il desiderio del mondo. Blob è la capsula iniettata nel sangue del corpo televisivo diffuso, immessa in tale corpo per un viaggio allucinante che forse cerca un virus mimandone e seguendone gli stessi movimenti, essendone il tracciato e infine direttamente essendolo. Infine e senza fine (perché mai interromperlo in un ‘adesso’, quando gia’ dopo quindici giorni ci avvenne di pensare che avremmo smesso lì, una volta verificato l’automatico brillante (im)meritato ‘successo’ di un programma che era il trionfo del ‘già successo’ dell’accaduto del nulla televisivo formicolante?), persistendo in una ‘blob condicio’ ambigua che a ogni elezione micro o macro (è il caso di ‘questi giorni’ o di questo terremoto), lo considera o lo sospinge, nel recinto comico e ideologico della satira, blob non può e non vuole celebrarsi oltre la propria anacronistica ostinazione di essere in onda, quasi cancellato e ancora visibile in essa. Tanto che diverte se mai fingere di sognare quello che sembrerebbe una proposta troppo poco indecente o un sogno smisurato, meglio se già sognato e praticato in quest’anno che muterà tutta la tv in Italia senza mutarla, cambiandone ‘solo’ la sostanza. Nell’orizzonte dello schermo digitale, portare alla massima visibilità l’invisibilità di blob e la sua ‘indifferenza’ (o viceversa). Una rete digitale tutta intera mutata in blob per cento o mille ore o mille giorni, un intero canale incessantemente dissodato arato seminato alluvionato bruciato ; blobbato”.