E’ vero, c’è poco da fare, in tv si può dire tutto e il contrario di tutto. Ed essere creduti. Ieri si è svolta una conferenza stampa in cui Augusto Minzolini, direttore del Tg1, ha annunciato l’imminente restyling del telegiornale di Raiuno.
Nuovo studio, nuova grafica, nuove sigle e nuovo sito web. In pratica, un nuovo Tg1, per andare incontro ai mutamenti che, negli ultimi mesi, hanno visto il pubblico del tg dell’ammiraglia Rai ringiovanirsi e, checché ne dica, il direttore, ridursi drasticamente. Era un Minzolini a ruota libera quello che ieri ha affrontato una platea di giornalisti, facendo, oltretutto, un bilancio del suo primo anno di direzione. Il 20 maggio 2009, l’ex inviato de "La Stampa" veniva posto dal Governo al timone del Tg1, al posto di Gianni Riotta, e da allora, tra addii illustri, comunicati del cdr, editoriali (fuori luogo) e polemiche politiche, il buon Minzolini non ha avuto pace. Lui, però, appare sempre pacato e moderatamente soddisfatto dei risultati ottenuti, nonostante i dati incontrovertibili diffusi da Auditel gli diano spudoratamente torto. Ma tant’è: è noto, nell’informazione opinabile e non oggettiva che regna in tv, si può dire di tutto, senza troppa paura d’essere smentiti. Con la polarizzazione estrema dello scontro politico, le divergenze si risolvono sempre con il concetto: la nostra parola, contro la vostra. Nel suo bilancio positivo di quest’anno, Minzolini ha individuato nei continui attacchi politici contro di lui l’unico neo, che non è riuscito ad estirpare. "Mi hanno detto di aver dato poco spazio alla crisi economica. – ha detto – A noi è piaciuto sottolineare come il sistema economico italiano è riuscito ad affrontare questa crisi molto meglio di altri Paesi. Il tg denuncia quello che non va, ma racconta anche quello che funziona, ci piace parlare di quel modello Italia che viene spesso sbeffeggiato ma che invece raggiunge anche risultati positivi". "A noi è piaciuto sottolineare…": il pluralis majestatis utilizzato dal direttore pare alquanto inopportuno, considerate le guerre intestine che, nell’arco degli ultimi dodici mesi, il telegiornale ha dovuto affrontare. Guerre intestine che hanno portato una serie di vittime illustri, ultima in ordine di tempo, Maria Luisa Busi, volto storico (così come Paolo Di Giannantonio e Tiziana Ferrario, gli altri due partenti). "Ma perché se la media di incarico di un direttore è di un anno e mezzo i conduttori dei tg devono restare a vita? – ha ribattuto il direttore, con proverbiale faccia tosta – E’ un’idiozia darmi dell’epuratore solo perché voglio cambiare situazioni immobili da 29 anni. Sfido chiunque a dimostrare che le mie scelte non siano editoriali e razionali. A tutti quanti ho fatto una proposta di ricollocazione addirittura di super inviati agli Esteri. Io ci metterei la firma ad accettare un incarico del genere, una volta finito il compito di direttore. Quello che mi ha lasciato più perplesso sono gli attacchi da chi lavora all’interno dell’azienda. Comunque sto ancora aspettando una risposta dai colleghi in attesa di ricollocazione". È proprio vero, come ha sostenuto lui in apertura di conferenza stampa, che non riesce proprio a farsi intimidire da niente e da nessuno. Sarà per questo che è stato scelto per un incarico così importante. Ma passiamo ai dati, e qui pizzichiamo un po’ il direttore, che con il suo proverbiale ottimismo si è lasciato andare a una ricostruzione dei dati d’ascolto un po’ arbitraria. "Sono arrivato nel giugno scorso e in questi mesi ho dovuto anche soffrire le difficoltà del passaggio al digitale che hanno influito sugli ascolti", ha detto, mettendo un po’ le mani avanti. "Eppure un tg visto principalmente da ultrasessantenni adesso si sta ringiovanendo, scesa l’età media dei telespettatori", ha continuato. E ancora: "In un anno il divario con il nostro maggiore competitor cioè il Tg5 è aumentato a nostro favore dal 2,32 per cento al 3,98. E se lo share è diminuito dell’1,14 per cento è dovuto al fatto che la platea è aumentata. Anzi il Tg1 è il telegiornale che ha guadagnato più telespettatori: 220mila contro i 182mila del Tg2, i 130mila del Tg3, mentre addirittura il Tg5 li ha persi. Solo nel 2000 il Tg1 aveva sempre vinto il confronto col Tg5, bisogna insomma risalire a 10 anni fa per rivedere un Tg1 con dati così positivi". Ci rincresce davvero dover, in qualche modo, riprendere il direttore, ma dati Auditel alla mano, riportati dal portale tvblog.it, sito piuttosto attendibile, abbiamo scorso i dati riguardanti gli ultimi cinque anni di Tg1 e Tg5, notando come entrambi siano calati a picco negli ultimi anni, e se il divario tra i due è aumentato, questo non è certo per merito del Tg1, anzi. I dati sono relativi al semestre ottobre-marzo, quello più importante dal punto di vista degli ascolti e degli introiti pubblicitari. Dal 2005 ad oggi, gli ascolti del Tg1 hanno fatto registrare alti e bassi piuttosto consistenti. Il tg registrava un 30,5% di share nel 2005-2006, con Mimun al timone, salvo schizzare al 32,9% l’anno successivo con l’arrivo di Riotta. Poi il calo, progressivo, fino all’ultimo anno di Riotta, che aveva portato il telegiornale sotto la soglia del 30%, raggiungendo un magro 29,6%. Poi l’arrivo di Minzolini e la debacle: 28,14 di share, peggior risultato degli ultimi anni. Il Tg5, dall’altra parte, pagando un po’ la popolarizzazione (che Minzolini ha portato, anche, nell’ultimo anno, al Tg1) che dovuto subire dopo l’addio della spina dorsale storica della redazione (negli anni, Mentana, Sposini, Carelli), ha avuto una decrescita costante che lo ha portato dal 27,78% del 2005 al 24,66% di oggi. Se analizziamo, poi, il dato disaggregato delle edizioni delle 8 e delle 13,30 del Tg1, notiamo cali ancor più clamorosi che, da cifre sempre vicine al 30% negli ultimi anni hanno portato al 24, 40% il primo e al 27,7% il secondo. Questo probabilmente può dipendere dallo svecchiamento del pubblico di cui parlava il direttore, ma passaggio al digitale e aumento del bacino d’utenza degli altri telegiornali non giustificano dati così negativi. (G.M. per NL)