Periodo buono per la Rai che registra un extra-gettito di 301 mln dal canone; di questi, 201 mln sono surplus in mano all’emittente pubblica.
Il canone, il cui pagamento è stato addebitato sulla bolletta dell’utenza elettrica a partire dallo scorso anno, ha comportato nel 2016 entrate per circa 2 mld di euro, che diventano 1,7 mld di euro circa al netto delle imposte e delle trattenute, superando così quelli del 2015 (1,637 mld) e del 2014 (1,588 mld). Più precisamente, come ha spiegato il viceministro dell’Economia Enrico Morando: “per il calcolo dell’extra-gettito (la cui parte destinata allo Stato passerà dal 33% al 50% nel 2017 e dal 2019 sarà invece interamente destinato all’Erario) si parte dai due mld di euro incassati nel 2016 con il canone in bolletta, da cui detrarre quasi 22 mln di euro rimborsati dai gestori delle utenze elettriche ai clienti. Dunque, l’incasso reale è stato di 1,982 mld di euro ma comunque superiore di 301 mln rispetto alla previsione di entrata pari a 1,681 mld. La particolarità delle entrate in più sta nel fatto che ad esse si arrivi nonostante ci sia stata una significativa riduzione del canone rispetto agli anni precedenti”. E ancora: “ecco quanto è costato ai cittadini e allo Stato il ritardo con cui si è proceduto ad inserire il canone in bolletta: un effetto finanziario gigantesco, calcolato in miliardi e non in milioni di euro”. Sull’operazione canone, dunque, la RAI può permettersi di festeggiare ma, all’orizzonte, si profilano altri nodi in attesa di chiarimento: il limite del 4% sull’affollamento pubblicitario settimanale per singolo canale (ipotesi che si potrebbe realizzare con l’entrata in vigore dello schema di nuova concessione decennale tra RAI e lo Stato) e il tetto massimo di 240mila euro lordi previsti per la retribuzione dei dipendenti, consulenti e collaboratori RAI, che forse potrebbe inglobare anche la categoria artisti – a partire da aprile 2017 – a patto però che non ci siano interventi discordanti dei ministeri competenti. Sulla prima questione, Morando ha dichiarato: “sarebbe meglio per noi fissare un tetto alla raccolta pubblicitaria complessiva. Anche perché dall’analisi dei prezzi degli ultimi anni non risulta che RAI abbia praticato una politica aggressiva rispetto alla concorrenza”. Se davvero venisse imposto il limite del 4% su ogni rete, la RAI non potrebbe più operare come fatto finora, essendo attualmente prassi quella di calcolare il 4% su una media degli spot di tutti i suoi canali, potendo così, in caso di necessità, alzare la percentuale di carico pubblicitario su di un determinato canale (RAI Uno che fa più gola agli inserzionisti) e tenere invece più leggeri gli altri. Si attende dunque l’ultima parola del governo anche perché, secondo stime citate da Repubblica, una perdita significativa in termini di raccolta pubblicitaria. Ci sarebbe, poi, l’annosa questione del tetto di 240mila euro lordi per gli stipendi RAI che potrebbe includere, oltre ai dipendenti, collaboratori e consulenti, anche la categoria artisti e che, se così fosse, vedrebbe coinvolti i volti più noti della tv pubblica: Fabio Fazio (che ha preannunciato la volontà di diventare il produttore di se stesso su qualunque rete possibile, mantenendo però, per adesso, l’attuale contratto stipulato con Endemol, produttore del programma “Che tempo che fa”), Claudio Insinna, Antonella Clerici, Bruno Vespa, Massimo Giletti (che, intervistato dal Corriere della Sera, ha dichiarato “Se il tetto venisse applicato qualcuno potrebbe pensare che non è conveniente rimanere nella tv pubblica e ognuno si farebbe i suoi legittimi conti”), Carlo Conti, Piero e Alberto Angela, Amadeus, Lucia Annunziata (ex presidente RAI che si è già espressa favorevole alla legge). A togliere ogni dubbio, un recente parere dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui il tetto fissato per gli stipendi non può valere anche per gli artisti per almeno due ragioni: risulta essere ancora in vigore la norma della Finanziaria del che tiene fuori da ogni vincolo la prestazione artistica o professionale che consente di competere sul mercato e, inoltre, perché distorce la concorrenza: “il limite non si applica alle attività di natura professionale e ai contratti d’opera (…) aventi ad oggetto una prestazione artistica o professionale che consenta di competere sul mercato in condizioni di effettiva concorrenza” (circolare n.1/2008, Presidenza del Consiglio – Dip. Della funzione pubblica). Pertanto, la libertà della RAI di pagare come crede i suoi artisti, “garantisce la sua operatività in un regime concorrenziale”; “le prestazioni artistiche vanno considerate in maniera distinta”. Sembra dunque che grazie alla precisazione dell’Avvocatura dello Stato il governo sia nella condizione giusta per pronunciarsi una volta per tutte sulla faccenda (il parere è infatti già arrivato al ministero dell’Economia che, insieme alla Siae, è azionista della tv pubblica. Prima di prendere una decisione ufficiosa entro il 30 aprile (presunta data dell’entrata in vigore della delibera), vi sono comunque questioni non banali da risolvere, come ha spiegato il componente della commissione vigilanza Riccardo Villari: “Due questioni appaiono evidenti. Bisogna differenziare gli artisti dai giornalisti (si pensi, per esempio, a Bruno vespa, Alberto Angela e Fabio Fazio, Ndr). Si è l’uno o l’altro sempre, non a giorni alterni o addirittura a seconda delle fasce orarie”. Ha espresso un’opinione sulla vicenda anche il consigliere di amministrazione RAI Arturo Diaconale, secondo il quale intervenire sugli stipendi è inevitabile: “in una situazione di difficoltà generale, non è possibile che la Rai sia un’isola privilegiata”, perciò si metterà mano sui tetti degli stipendi RAI ma per i dettagli bisognerà attendere che tutte le parti coinvolte raggiungano una decisione unanime, entro meno di un mese. (L.M. per NL)