È stata dura, ma l’AD Fabrizio Salini, sia pure in extremis rispetto ai tempi previsti (anche dal contratto di servizio, già prorogati perché la nuova dirigenza è entrata in carica solo dall’estate 2018), è riuscito a far approvare dal Cda della Rai il piano industriale 2019-2021, votato però solo a maggioranza: hanno detto no Rita Borioni (vicina al PD) e, alla fine, anche Riccardo Laganà (Consigliere espresso dai dipendenti secondo la ‘legge Renzi’ sulla Rai), hanno detto sì gli altri cinque Consiglieri, legati alla maggioranza giallo-verde che in qualche modo governa anche la Tv pubblica.
Salini ce l’ha fatta con il piano industriale ma le voci su come ci sia riuscito sono quanto mai malevole: c’è chi dice che abbia dovuto mettersi a ‘correggerlo’ lo stesso presidente Marcello Foa (che è tutt’altro che un presidente senza poteri, anzi è attivissimo), che abbia dovuto cedere sul punto delle news, nel senso che i Telegiornali resteranno ben differenziati, a quanto pare, con grande gioia dei direttori e delle forze politiche di maggioranza che li hanno in qualche modo indicati; soprattutto pesa quel colloquio diretto che Salini avrebbe avuto con il ministro dell’Interno Salvini prima del ‘fatidico Cda’ per l’approvazione del piano industriale e che alla fine non è stato smentito.
Che il ministro dell’Interno non abbia alcuna competenza legale in tema di Rai pare persino ovvio dirlo ma anche salvare le apparenze non sembra più interessare a nessuno e ben pochi si sono infatti scandalizzati per la (presunta ma a questo punto probabile) notizia.
Si tenga anche presente che sulla carta i poteri di Salini sono i più ampi che un AD Rai (la carica anzi prima non esisteva proprio e c’era solo un direttore generale) abbia mai avuto; ciò non toglie che per arrivare al piano in questione sia stato intrapreso un vero percorso a ostacoli, che alla fine, come sempre, abbia deciso la politica e che non sia mancato il brivido finale, perché se mai il Governo fosse caduto sulla TAV, le ricadute sulla Rai sarebbero state certe.
Ma vediamo in cosa consiste il piano industriale triennale in questione. Secondo il comunicato Rai, esso pone al centro i contenuti e le esigenze degli utenti, colmando il gap digitale accumulato dall’azienda e venendo incontro agli obblighi del contratto di servizio.
Il piano prevede la costituzione delle famose “Direzioni Orizzontali”, ovvero le nove, inedite, che si occuperanno di: intrattenimento prime-time; intrattenimento day-time; intrattenimento culturale; fiction; cinema e serie Tv; documentari; ragazzi; nuovi formati e digital; approfondimento informativo. Le Direzioni di contenuto in questione definiranno l’offerta nell’ambito del proprio genere, ottimizzando l’impiego di risorse in base all’evoluzione della domanda degli utenti e al fabbisogno delle diverse piattaforme. Sarà a quel punto abbastanza secondario il ruolo dei direttori di rete (che ora fanno invece il bello e cattivo tempo; si pensi a Freccero a Rai2), che dovranno solo coordinare i palinsesti sulla base di quanto verrà loro fornito dalle Direzioni citate, mirando a determinati obiettivi di ascolto.
Oltretutto le reti saranno organizzate sotto la Direzione Distribuzione, che avrà il compito di indirizzare, coordinare e armonizzare la programmazione complessiva. Ma mica basta: ci saranno anche: la Direzione Generi, che coordinerà le 9 Direzioni di Contenuti; la Direzione Marketing; la Direzione Produzione; la Direzione Risorse Artistiche e Televisive (che si occuperà anche dei contratti con gli artisti).
Come previsto dal Contratto di servizio, l’offerta sarà ampliata attraverso un canale in lingua inglese, con un palinsesto basato su produzioni originali, contenuti provenienti dagli archivi Rai, spazi informativi e ottimi film italiani sotto-titolati. Il canale in inglese sarà prodotto e distribuito da Raicom, di cui è presidente lo stesso presidente della Rai Foa (con qualche altra polemica).
E non mancherà il canale istituzionale, che avrà lo scopo di avvicinare cittadini e istituzioni, promuovendo la conoscenza delle stesse.
Per quanto concerne l’informazione, il Piano prevede di mantenere i brand di punta dell’informazione Rai (in attesa di una newsroom unica futura, non prima del 2023) e di potenziare intanto un ‘Polo all news’ con la creazione di una testata multipiattaforma che integri Rainews, Rainews.it, Tgr e Televideo.
Il rinvio sulla newsroom servirebbe in realtà a non scalfire i poteri degli attuali direttori dei Tg Rai, come detto, che sono stato voluti dai partiti della maggioranza dopo lunghe trattative, il cui esito sarebbe rimesso in discussione nel caso ci fosse un ‘coordinamento dei Tg’, con relativi ampi poteri da stabilire.
E la nuova Direzione approfondimento informativo? Coordinerebbe i talk-show delle varie reti (si pensi sempre a quel che sta invece facendo adesso, anche su questo, Freccero) e dunque avrebbe competenze assai rilevanti . La Lega mirerebbe ad assicurarsi senz’altro questa Direzione, specie dopo che non è andata in porto l’operazione ‘spazio post-Tg1 delle 20’ per Maria Giovanna Maglie (o altri, si è fatto persino il nome di Mario Giordano) e non si è trovata ancora la maniera di allontanare o riportare su Rai3 l’incontrollabile Fabio Fazio, che si è saggiamente tutelato a suo tempo (ai tempi di Orfeo) con un contratto di ferro.
Ma verrà davvero attuato questo piano, sarà invece realizzato, magari, solo parzialmente e in che tempi, soprattutto? In Rai gli scettici non mancano, naturalmente e hanno dalla loro il fatto reale che questa organizzazione in reti e testate, basate, di fatto, su aree politiche, risale nientemeno che alla ‘mitica’ riforma Rai del 1975-’76, ben oltre quarant’anni fa. Per i Tg, come si vede, la resistenza è ancora maggiore che per le reti. C’è da dire però che le nuove poltrone previste dal piano industriale sono così tante che per i partiti può prospettarsi una teorica ‘festa lottizzatoria’ ancora più rilevante.
Ma alla fine, come sempre, tutto dipenderà dall’evoluzione della situazione politica. Che è come dire che conteranno, più di ogni altra cosa, intanto, i risultati delle elezioni per il Parlamento Europeo del prossimo 26 maggio. (M.R. per NL)