I dodici anni di concessione tra Stato e Rai, stabiliti dalla Legge Gasparri, scadranno a maggio. Il testo però non norma la successione provocando così grossi rischi per la stabilità aziendale.
Mancano solo pochi mesi al 6 maggio, giorno in cui scadrà la concessione del servizio pubblico alla Rai da parte dello Stato italiano. Il termine è stato stabilito dalla legge 112 del 2004 (“Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI”), che porta la firma di Maurizio Gasparri, all’epoca ministro delle Comunicazioni. Il caso politico nasce dal fatto che, il testo in questione, stabilisce a chi e per quanto tempo sarà destinata la concessione, senza dedicare nemmeno una riga alla questione della successione. L’articolo 20, al comma 1, si limita a dire che «la concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidata, per la durata di dodici anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, alla RAI-Radiotelevisione italiana Spa». Una lacuna normativa che, secondo le malelingue sarebbe nata in cattiva fede, considerando come l’approvazione sia arrivata durante il secondo governo Berlusconi. Resta il fatto che il futuro del servizio pubblico televisivo rimane appeso a un filo, nell’attesa che il Parlamento si prenda carico di stabilire le nuove linee guida sulla concessione. Eppure, la discussione parlamentare sembra restare ancorata al dibattito sulle unioni civili, fra canguri e altro, senza che il tema emerga all’ordine del giorno. Il valore di mercato della società, controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, non tornerà adeguato finché una legge non stabilirà il rinnovo della licenza. In assenza delle entrate garantite dalla tassa di possesso, il deficit Rai sarebbe difficilmente gestibile; di fatto la sostenibilità dell’azienda è messa a serio rischio: non potendo registrare le entrate del canone 2016 sarà impossibile costituire un piano aziendale triennale, né tantomeno regolare i pagamenti relativi al dopo-concessione. Dunque proprio mentre la questione del canone in bolletta diventa sempre più spinosa, la garanzia dell’entrata per la tv pubblica viene messa in dubbio. (G.C. per NL)