Ora però la nuova versione della ‘pornotax’ potrebbe colpire i rilevanti guadagni di Sky nel settore…
L’inchiesta è uscita sul ‘Sole 24 Ore’ del 13 dicembre. Partiamo dai fatti:
«Tempi difficili per l’industria della pornografia dal punto di vista fiscale. L’articolo 31 del DL anti-crisi ha ridato impulso all’attuazione della porno-tax istituita dalla Finanziaria 2006 ma rimasta finora sulla carta. È un’addizionale alle imposte sui redditi pari al 25% degli utili prodotti che troverà appplicazione a partire dai conti 2008. Nel mirino del Fisco entrano le Tv, in quanto l’originaria disposizione della Finanziaria 2006 è stata integrata e si fa ora esplicito riferimento alla «trasmissione di programmi televisivi di contenuto pornografico». Spetterà al Ministero per i beni culturali stabilire, antro gennaio 2009, quali «immagini o scene contenenti atti sessuali espliciti e non simulati tra adulti consenzienti» costituiranno pomografia e quali no. Oltre alle Tv, pagheranno dazio quotidiani, periodici, opere teatrali, letterarie, cinematografiche, audiovisive e multimediali».
Ed ecco perché ‘nel mirino’ c’è Sky, che dal porno guadagna molto, pur non ammettendolo esplicitamente (l’articolo è a firma di Marco Mele):
«Un tempo, i film vietati ai minori di anni 18, per non parlare di quelli a luci rosse, erano vietati in Tv. Quelli vietati ai minori di 14 anni potevano andare in onda dopo le 22 e sino alle 7 di mattina. Divieti dettati dalla legge Mammì del 1990 e confermati, per le Tv criptate, dalla riforma del cinema nel 1994. Preistoria.
La legge 122 del 1998 ha abolito i divieti per le Tv criptate di programmazione dei film vietati ai minori di 18 anni. Preistoria anche questa: molti dei film diffusi dalle Tv criptate non passano il visto di censura, quindi non sono nemmeno “vietati” ai minori. Secondo esperti, come l’avvocato Michele Lo Foco, «sono film a tutti gli effetti fuorilegge. Nessuno ne conosce il contenuto prima che siano offerti al pubblico». Fuorilegge sì, ma di successo.
Tutte le emittenti, quando si parla di introiti da film per adulti o a luci rosse, si cuciono la bocca. Per quanto riguarda Sky, tuttavia, una stima credibile può essere quella di un introito intorno ai 2 milioni a settimana, sui 26 canali pay-per-view “accesi” per Hot Club dalle 23,30 alle 6 di mattina, con un’offerta di 22 film a notte: 10 euro per due film su canali sequenziali o 12 euro per 4 film con la possibilità di vederli tutti e 4 sullo schermo, scegliendo la “finestra” preferita. Il che darebbe un introito di 100-120 milioni l’anno.
I costi sono molto bassi, in media 5mila euro a titolo per quelli trasmessi su Sky, ma c’è chi vende quelli di qualità medio-bassa “a peso” e per sempre, senza scadenza dei diritti e senza ammortamenti pluriennali. Il pubblico è a sua volta fidelizzato, metodico. E accetta la ripetitività. Ogni titolo costa poco o niente e può essere programmato a lungo nel tempo.
Conto Tv è una piattaforma ad accesso condizionato, impegnata in una lunga battaglia contro Sky per poter avere la possibilità di usare, insieme al suo Conax – una sorta di Unix del criptaggio televisivo, che non richiede licenza – anche lo standard Nds di Sky, «senza versare il 20% di quanto incassiamo», precisa Marco Crispino titolare dell’emittente. L’obiettivo di Conto Tv è di offrire anche i canali in chiaro, come quelli della Rai, ai proprietari della sua carta magnetica. Intanto diffonde film a luci rosse la notte su due canali, Conto Tv 1 e 2 (ma ce ne sono anche altri due, per la verità; Ndr.), che di giorno trasmettono uno il calcio e l’altro l’industria del benessere. Conto Tv spiega di non poter separare i relativi introiti. Conto Tv 1 è diffuso anche da una serie di emittenti locali sul digitale terrestre. Crispino sta preparando uno spot contro la pornotax dopo quello di Sky contro il raddoppio dell’Iva: «La tassa è inapplicabile. Cos’è porno e cosa no? Si parla di simulazione come confine, ma allora sarebbe il boom dei cartoni animati a luci rosse. Gli attori, poi, simulano?».
Sul digitale terrestre c’è Glamour, diffusa dalla piattaforma Pangea su emittenti locali. Diffonde film di qualità e reality a luci rosse, con telecamere 24 ore su 24. La tessera costa 20 euro per cinque notti (una pay-per-night). Quest’anno ne sono state vendute 120mila, mentre a novembre e dicembre sono in promozione gratuita: in Sardegna, dove si è spenta la Tv analogica e tutti hanno il decoder, vanno a ruba».
Ma veniamo all’inchiesta centrale sul tema, a firma di Roberto Galullo:
«L’industria del porno è pronta a cambiare il copione per evitare la scure fiscale del Governo: San Marino e i Paesi dell’Est diventeranno sempre più le basi dove spostare società di produzione e distribuzione. In Italia le case di produzione sono 35, ma le maggiori sono racchiuse in un pugno: Showtime, Sm Video, Salieri entertainment, Kamasutra e poche altre.
Silvio Bandinelli è a capo di Showtime. Annovera in scuderia registi e attori di fama, come Franco Trentalance, che tutta Italia conosce dopo la partecipazione al reality «La Talpa». Bandinelli – fiorentino, 54 anni, ex fotomodello di successo, laureato a pieni voti in storia del cinema – già da anni ha costituito una società di diritto ungherese. Fattura oltre un milione all’anno e nel 2007 ha versato 100mila euro all’Erario. «La pornotax – dice mentre si trova, guarda caso, proprio a San Marino – obbligherà molti di noi a chiudere in Italia e andare definitivamente all’estero. È una tassa incostituzionale perché introduce una discriminante fiscale sul reddito e non sul prodotto».
Showtime produce, distribuisce e commercializza film. Da Sky riceve ogni anno da 20mila a 50mila euro per i diritti, mentre dalle altre Tv satellitari incassa tra 400 e 500 euro a film. Poi ci sono la Rete e le videoteche (500-600 dvd all’anno).
L’industria del porno dal 2004 si attesta sul miliardo di fatturato annuo. Il giro d’affari – ottenuto rielaborando una ricerca, l’unica, di Eurispes – può contare su circa 300 milioni dai siti web commerciali (sono centinaia di migliaia, ne nascono e ne muoiono ogni giorno), 250 dalle Televisioni, 150 dall’home video, 140 dai video telefonini, 120 dalla prostituzione generata dagli annunci, un centinaio dalle linee hot e via scemando con riviste e sexy shop (complessivamente altri 100 milioni).
Per produrre un film si spendono al massimo 25mila euro, ma Maja Checchi, imprenditrice cinquantenne, racconta che basta molto meno. «Ormai – dice – un film girato in Ungheria o comunque nei Paesi dell’Est, costa in media 5mila euro. Alle attrici vanno 200 euro al giorno e in quattro, cinque giorni, la pellicola è confezionata. Qualcuna, poche, per pose particolari, chiede 200 euro a scena, ma nell’Est c’è un mercato di ragazze meravigliose che si offrono e poi spariscono. Nel 1994 ‘Le avventure erotiche di Marco Polo’, girato dal “maestro” dell’hard Joe D’Amato con Rocco Siffredi, in Italia costò circa 500 milioni di lire. Chiaro perché ormai nessuno produce in Italia?».
Chiarissimo, così come non fa una piega che l’Ungheria ospiti anche agenzie italiane di casting. Le più importanti sono in mano a Gianfranco Romagnoli e Fabio Rodante. Dall’Ungheria i film italiani prendono le vie del mondo e competono con gli Usa.
Checchi conosce bene l’industria del porno e anticipa tendenze e mode. Vent’anni fa, fu la prima webmistress di un sito porno italiano e oggi indica ancora la via per continuare a fare profitti: lo streaming, sicuro e con addebito anonimo in bolletta telefonica. Sul suo portale dal 2005, per 6 euro, si può noleggiare per 48 ore un film scelto tra un campionario sconfinato. Con lei lavorano 14 persone e ha 60mila utenti al giorno, 1.500 dei quali noleggiano film. Solo da questa attività – ne conta in realtà molte altre e tutte online – incassa oltre 3,2 milioni lordi all’anno.
Dopo tre anni di rodaggio, il 15 dicembre debutta con un’altra novità assoluta: un sito che consentirà di acquistare i film nel momento stesso in cui si girano (compresi i backstage). Per fare il salto si è messa in società con un’impresa di peso: Faronet, di Roberto Campisi, un palermitano di 38 anni, che conta otto dipendenti, più collaboratori a tempo e centinaia di affiliati. «Ormai – afferma Campisi – il video on demand sta togliendo spazio alle videoteche. Un terzo del nostro fatturato, pari a 1,4 milioni, proviene da lì. Ma si vende tutto in Rete ormai, anche l’oggettistica, prodotta per il 90% in Cina, con qualche nicchia artigianale in Francia, Italia e Germania. Anche le riviste sono su internet. L’ultima ad abbandonare la tipografia è stata ‘Hot News’, per questo non capisco il ritorno di Playboy nel nostro Paese».
Con questo mercato dovrà fare i conti il Governo, anche se la crisi corre, indotta dai siti porno gratuiti, dove i film amatoriali spopolano più di quelli professionali».