Tv: per il futuro, Mediaset si affida alla rete ma invoca la politica

Nei giorni in cui Mediaset, per la prima volta nella sua storia, annuncia ai soci un bilancio in rosso, e mentre il mercato pubblicitario televisivo crolla del 16% rispetto al primo bimestre dell’anno scorso, il titolo in borsa dell’azienda del biscione fa registrare un trend in deciso rialzo.

A spiegare l’apparente mistero non bastano certo le dichiarazioni sul rinnovato interesse verso il web rilasciate dall’amministratore delegato di Publitalia Andreani e dal presidente Confalonieri, né le voci di un possibile ritorno dei grandi investitori del settore delle telecomunicazioni e dell’energia, non confortate da nessuna analisi di mercato. Senza parlare del fatto che durante l’assemblea dei soci sono state escluse tutte le operazioni in precedenza ventilate circa l’interesse di partner esteri verso Mediaset Premium o la cessione di quote di EI Towers. Lo scenario appare più chiaro solo nel momento in cui si considera che negli stessi giorni la situazione politica italiana si è “sbloccata” nella direzione più gradita all’azionista di riferimento Silvio Berlusconi, con la nascita del governo di larghe intese con il contributo del Pdl. A parte la scontata liaison con la politica che segna ormai da un ventennio le vicende della più grande media company italiana, appare interessante il cambiamento di rotta che, almeno apparentemente, contraddistingue le strategie future di Cologno Monzese nei confronti della rete. Le dichiarazioni in merito appaiono in questo senso illuminanti, anche se non proprio rivoluzionarie. Per Confalonieri, “contrariamente a quanto predetto, la televisione trova nella rete un formidabile mezzo di amplificazione”, e la pubblicità sui contenuti video veicolati attraverso internet rappresenterebbe la via maestra attraverso la quale monetizzare la presenza online. Mediaset, quindi, ha stretto accordi con Italia Online, proprietaria dei portali Libero.it e Virgilio.it, e prevede entro fine anno il lancio di un’offerta di contenuti (presumibilmente quelli di Mediaset Premium) visibili su pc, tablet e dispositivi di nuova generazione. Si tratterebbe perciò di una via tutta italiana alla tv via web, che consapevolmente non considera l’ingombrante (e preponderante) presenza di YouTube e conseguentemente di Google, oltre che di tutti gli altri protagonisti dell’internet mondiale. Quei famosi “giganti” che Confalonieri ha citato solo per denunciarne la presenza soffocante a danno delle imprese italiane, e per chiamare contestualmente la politica ad intervenire a favore dei “campioni” nazionali, imponendo le condizioni normative adatte a sviluppare le potenzialità e far fronte alla competizione globale. Fino all’ormai famosa frase “Lasciateci liberi di contrastare la crisi economica, di difendere le nostre attività, di presidiare i mercati della comunicazione”. Una retorica un po’ nazional-popolare da difensore della patria, ma anche una visione molto “locale” e poco “globale”, per dirla con espressioni oggi di moda, che riflette l’abitudine ad operare in contesti assai poco concorrenziali e molto protetti (ma evidentemente non abbastanza, dal punto di vista del Biscione) dalla mano benevola della politica. Anche le asserite strategie di sviluppo sul web sembrano per ora improntate ad una visione tele-centrica, che considera internet niente più che un canale di trasmissione alternativo al broadcast. Nessun accenno finora ad un approccio integrato e sistematico al mondo della rete, che tenga in dovuto conto la specificità e poliedricità del medium. Le stesse dichiarazioni sulla neutralità della piattaforma di distribuzione rispetto ai contenuti, nonché sull’importanza dell’on demand, della mobilità e della profilazione degli utenti a fini pubblicitari, sembrano più citazioni da manuale (soprattutto se provenienti da un “uomo televisivo” a tutto tondo come Confalonieri) che concetti meditati e introiettati in una filosofia aziendale che nonostante tutto rimane legata ai vecchi stereotipi. Del resto, le vicende politiche (e le conseguenti impennate in borsa) non aiutano, suggerendo la possibilità di proseguire ancora per un po’ indisturbati sulla strada della tradizione televisiva italiana, cullati dall’illusione di riuscire a tenere i babau multinazionali della rete fuori dai confini del bel paese. (E.D. per NL)

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