Tv. OTT sempre più simili alle vecchie Pay TV. Sviluppi e possibili scenari in un mercato probabilmente ormai maturo

pacchetti multicanale delle pay tv

Una serie di articoli apparsi in queste settimane su Bloomberg e altre testate d’opinione sottolineano la rapida evoluzione del mercato degli OTT, accelerata dal’esaurirsi (speriamo definitivo) della pandemia che ha causato la fine del periodo della crescita garantita. Con la conseguenza di un’offerta che in termini di costo e tipologia tende sempre più ad assomigliare quella dei vecchi pacchetti multicanale delle pay tv.

Prezzi in salita, arriva la pubblicità

I prezzi dei pacchetti salgono è in arrivo la pubblicità e il numero di contenuti disponibili – on demand ma anche live – in continua crescita.

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foto: Karl Baron/flickr

Cosa differenzia un OTT

Viene da chiedersi cosa differenzia un OTT da un operatore tradizionale. Certo, oggi a livello di trasporto usiamo l’Internet Protocol (IP) e generalmente il segnale ci arriva tramite fibra ottica o rame e non certo via satellite. Ma a livello di contenuti e costi questo non ha importanza.

On Demand 

Si potrebbe pensare che la novità introdotta dagli OTT sia l’accesso on-demand, contrapposto al modello broadcast (eventualmente time-shifted) del satellite. Ma a ben guardare neppure questo è vero, in quanto già nel 2005 con MySky e la sua funzione push si poteva accedere a contenuti in modalità non lineare.

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AI

A conti fatti, i vantaggi principali degli OTT sono (o forse erano) tre: il costo trascurabile degli abbonamenti, la possibilità di sottoscrivere e abbandonare un pacchetto in ogni momento senza vincoli e la presenza dell’algoritmo predittivo, un’intelligenza artificiale in grado di guidarci efficacemente nel mare magnum dell’offerta.

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Passaparola

Ma nell’esperienza di tutti noi possiamo constatare come tutt’oggi i migliori consigli arrivano tramite passaparola e non dalle percentuali di affinità calcolata dall’algoritmo. Le quali sono state oltretutto recentemente rimosse dagli schermi degli utenti (forse per questioni di concorrenza? Ci riserviamo di approfondire…).

Conti in rosso

Dal punto di vista di Wall Street un elemento essenziale differenzia gli OTT dai provider tradizionali: la bottom line. I fornitori di pacchetti via cavo e satellite erano società che storicamente producevano ottimi utili, mentre gli OTT sono perennemente in fase espansiva e pertanto in perdita d’esercizio.

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Ma non per tutti

Ma il fenomeno non riguarda tutti gli OTT. Sommersi da un mare di articoli fotocopia sulla diminuzione degli abbonati è sfuggito alla stampa internazionale un dato essenziale: Netflix in rosso non è proprio.

Netflix, bilancio in positivo

A fronte di perdite di 900 milioni di dollari al trimestre per l’offerta streaming di Disney (e non parliamo qui di Apple TV+ e Amazon Prime Video, che sono finanziati dalle altre linee di business) il leader di mercato può vantare conti positivi, che ha permesso di entrare a fine 2021 nella fase del cash flow positivo.

Gli scettici

Come scrive Bloomberg,Per anni ha gli scettici hanno previsto che a fronte della sua rapida crescita Netflix avrebbe presto terminato i soldi. Ma ora la compagnia chiede disperatamente a tutti di dare un’occhiata ai propri conti“.

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Calo abbonati

Vero, questo accadeva prima del calo del numero abbonati (pari a circa 1 milione, dunque una diminuzione dello 0,45% ). Ma dubitiamo questo possa aver cambiato la situazione, sia perché lo 0,45% non è esattamente una cifra importante, sia perché il recente taglio dei rami secchi (le serie non performanti) dovrebbe aver rimesso rapidamente le cose in carreggiata.

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Disney+

Come abbiamo riportato poco prima di ferragosto, ha avuto grande eco sulla stampa internazionale il presunto sorpasso di Netflix da parte di Disney+.  Il grafico qui sopra rimette le cose in prospettiva.

Solo +100.000 abbonati nell’ultimo trimestre

Durante l’ultimo trimestre l’aumento degli abbonati per la casa di Topolino sia stato di soli 100.000 abbonati nei mercati chiave di USA e Canada, “la crescita più bassa dal 2020 e un probabile segnale che il mercato generale dello streaming sia in forte rallentamento“.

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Aumento prezzi

Come si fa fronte a un rallentamento della crescita in un quadro che lascia prevedere incrementi della base utenti trascurabili ? Una strategia è l’aumento dei prezzi, nel caso di Disney+ un sano 38% a fronte di un’inflazione pari a circa l’8% (ma in rallentamento). Ma anche gli altri servizi hanno una tradizione di aumenti, ad esempio Netflix li ha applicati a giugno.

Bouquet ipotetico

Nella tabella di Bloomberg possiamo dunque vedere come un ipotetico bouquet di OTT – necessario per avere un ventaglio di scelta paragonabile a quello dei vecchi package cavo o satellite- costi oggi quanto (o forse più) dei fornitori tradizionali.

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E in Italia? I costi Sky

Abbiamo provato a fare lo stesso conto per l’Italia. La cosa non è facile in quanto i costi di Sky non sono per nulla trasparenti. Non si trovano sul sito e analizzando le esperienze di molti utenti abbiamo concluso che sono oggi modulati in infinite varianti che prendono in considerazione fattori quali la qualità di ricezione (HD/4K), l’anzianità dell’utente (in quanto cliente, non anagrafica), il periodo in cui si è acquistato il pacchetto, il tipo di decoder e… quale operatore telefonico si trova dall’altra parte del filo nel momento della sottoscrizione.

Forchetta

In ogni caso, escludendo i periodi promozionali iniziali, si parla di una forchetta che varia da circa 29 euro/mese a un intorno dei 69 euro/mese (4K). Il pacchetto Smart invece dovrebbe attestarsi attorno ai 39,9 euro/mese (Sky TV + Kids + Cinema + calcio in 4k).

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Italia – Costi streaming

Confrontando questi numeri con quelli dello streaming possiamo dunque osservare come anche nel nostro paese il costo di un bouquet di servizi streaming che copra gli interessi di una famiglia media sia già oggi paragonabile a quelli dell’operatore storico, con una prospettiva di sorpasso nel corso del 2023.

Meta Package

Esiste secondo Bloomberg lo spazio per dei meta-pacchetti, dove per meta non intendiamo la società precedentemente conosciuta come Facebook, ma successivo, di livello superiore.  Un aggregatore, per usare questo termine, che incorpori (magari spacchettando?) l’offerta di svariati OTT e offra a prezzi concorrenziali dei cosiddetti “bundle“.

Google

Ne abbiamo parlato nell’articolo del 13 agosto, dove si riporta come Google stia affrontando la questione dal punto di vista tecnologico, perfezionando un sistema che incorpora un motore di ricerca dei contenuti e che possa diventare l’interfaccia utente primaria per gli utenti.

Niet

Per parte nostra ci sentiamo di affermare che questa operazione non andrà a buon fine. Inconcepibile a nostro avviso che società come Netflix, che hanno investito pesantemente nei sistemi di profilazione utente e conseguente proposizione di contenuti personalizzati, possano mai accettare di essere disintermediati e diventare una commodity a favore di Google.

Shakespeare

Ma dobbiamo anche riportare che Bloomberg sembra più possibilista: “Netflix e Disney vogliono possedere la relazione con l’utente. A loro avviso un meta-package non aggiungerebbe abbastanza valore per compensare la riduzione degli introiti implicita nel partecipare a un bundle. Nessuno è mai riuscito a convincere queste società a entrare in tali schemi. Ma è pur vero, come ha scritto Shakespeare nella Tempesta, che ciò che è passato è (appena) un prologo.” (M.H.B. per NL)

 

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