Previsioni al 2020. Negli ultimi anni il modo di guardare la televisione è profondamente cambiato, sia per quanto riguarda i contenuti, sia e soprattutto con riferimento alle modalità di visione. L’evoluzione tecnologica ha portato allo sviluppo di nuovi modelli di business, quindi ad una mutata offerta e conseguentemente ad una variazione delle richieste del pubblico di tutte le età.
In questo Netflix rappresenta un caso emblematico: la piattaforma, sbarcata in Italia il 22/10/2015, dopo tre anni, può vantare più di un milione di abbonati (anche se non ci sono cifre ufficiali) e, complessivamente, ben 137 milioni di utenti nel mondo. Sarà per il costo ridotto (tendenzialmente 15 euro/mese), per la facilità di abbonamento e di utilizzo, per l’assenza di infrastrutture da collocare nelle abitazioni (a differenza di altre pay tv) o per i contenuti proposti – soprattutto se si guarda alle produzioni originali divenute ormai cult – ma il colosso dello streaming video on demand ha provocato una vera e propria rivoluzione.
L’offerta video on demand si è moltiplicata: sia in versione free, ad esempio con la piattaforma della televisione pubblica Rai Play; che a pagamento, in modalità svod (subscription video on demand, tramite abbonamento) o tvod (transactional video on demand, ossia a consumo, come l’offerta di Chili).
Si tratta, infatti, di un settore che nel nostro Paese, secondo la società di consulenza ITMedia Consulting, a fine 2018 vale già più di 3,5 milioni di famiglie che guardano la televisione via internet attraverso i molteplici tipi di utilizzo a disposizione. Le previsioni al 2020 prevedono poi che questa cifra cresca significativamente: la broadband tv tra due anni sarà la modalità primaria di accesso ai contenuti televisivi per 8,5 milioni di abitazioni italiane.
Nel roseo scenario che si prospetta per gli OTT del settore, però, il colosso di Reed Hastings non può di certo trarre un sospiro di sollievo. Oltre ai rivali a cui la grande N è ormai abituata, il prossimo anno dovrà competere con i prodotti di due recenti fusioni: quella tra Disney e Fox e quella tra Comcast e Sky.
Queste alleanze hanno, infatti, come obiettivo, il lancio sul mercato di nuovi servizi di streaming a pagamento, forti delle produzioni che hanno in casa e di cospicui capitali da investire in produzione e acquisto di contenuti: si parla di 22 miliardi di dollari all’anno per Disney-Fox e di 21 miliardi di dollari annui per Comcast-Sky, ben più di quanto messo sul piatto da Netflix (fonte Italia Oggi).
Insomma, molto bene per il comparto il generale – con ottime prospettive di crescita al 2020 -, un po’ meno bene per chi ha aperto la strada, il quale dovrà attrezzarsi per competere con big di tutto rilievo. (G.C. per NL)