Quello tra i broadcaster e gli OTT è un gioco sleale: questo è ciò che già da tempo sostiene Gina Nieri (consigliera di amministrazione e direttore della sezione Affari Istituzionali, Legali e Analisi Strategiche di Mediaset).
Oggi, come ieri, la Nieri continua a batter chiodo sulla stessa questione: necessità di una regolamentazione per il settore OTT a fronte di una sana concorrenza sul mercato con i diretti rivali, proprietari di un’infrastruttura di trasmissione. “Da una parte ci siamo noi che siamo regolati dal capello ai piedi. Dall’altra ci sono gli Over the Top che sono fuori da tutto. Non sottostanno ad alcun obbligo. Decidono loro come comportarsi, siamo alla mercé dei loro algoritmi. Loro possono competere organizzandosi com’è meglio per il loro business. Il famoso value gap di cui tanto si parla è esattamente questo, il valore che si può generare fuori dalla compliance con le regole, che loro si possono permettere, noi no”. E ancora: “le emittenti europee producono l’80% dei contenuti trasmessi. Reinvestono la quasi totalità del fatturato in creatività e occupazione nel proprio Paese. Abbiamo limiti di affollamento pubblicitario, obblighi di investimento e programmazione di contenuti europei ed indipendenti, norme sulla responsabilità editoriale, obbligo di rettifica, il nostro mercato non può superare il 20% del Sic”.
Broadcaster e OTT, sono in corsa per raggiungere lo stesso obiettivo: “l’attenzione degli spettatori, le risorse da pubblicità e abbonamenti” ma sul piano normativo presenterebbero qualche differenza. Anche con gli editori, i quali rivendicano: “la necessità del rispetto delle norme a tutela del diritto d’autore da parte di tutti i soggetti, ed in particolare gli Over The Top, per contrastare i molteplici fenomeni di sfruttamento non autorizzato dei contenuti editoriali ed offrire una effettiva, indispensabile, tutela della qualità informativa. Sul fronte della pubblicità digitale occorrono regole e criteri di misurazione dell’audience più trasparenti, per garantire al mercato di investitori ed editori una corretta dinamica competitiva”, come si legge in un articolo della FIEG del 2016. Tra l’altro, è presente un documento dell’Agcom contente una ”Indagine conoscitiva sul settore della produzione audiovisiva”, allegato alla delibera n.20/15/CONS, che afferma l’esistenza del buco normativo (lamentato da Mediaset) ed evidenzia una “situazione di squilibrio competitivo a vantaggio di tale categoria di soggetti che, oltre ad essere sottratti all’ambito di applicazione soggettivo della direttiva SMAV con quanto ne consegue in termini di obblighi di programmazione e investimento in opere europee, godono di un diverso regime fiscale: tutto ciò comporta per condivisa opinione delle parti, alterazioni nelle dinamiche competitive e nella ripartizione delle risorse”. D’accordo con la Nieri Antonio Martusciello, ex Commissario Agcom, che al convegno “Pay-tv, servizi on-demand ed evoluzione del sistema audiovisivo” tenutosi a Roma, a maggio dello scorso anno, ha dichiarato che “vi sono alcuni nodi da sciogliere, in primis abbiamo dei temi regolamentari: il primo di tutti riguarda l’omogeneità delle regole. Appare quindi giustificato procedere ad una riconsiderazione di fondo del regime giuridico dei servizi audiovisivi nel nuovo contesto di mercato (basato sull’integrazione tra l’attività televisiva e Internet, Ndr), sia in ambito comunitario che in quello nazionale. Ciò al fine di ristabilire un level playing field fra piattaforme trasmissive e le diverse modalità di fruizione, tutte comunque incentrate sulla diffusione di contenuti”. A livello legislativo, dice la Nieri, “il Parlamento sta esaminando la direttiva sui contenuti audiovisivi: si torna a parlare di affollamenti pubblicitari orari. In quella stessa direttiva, che sarà recepita fra due anni, si prevede che le video sharing platform non avranno nessuno obbligo. Solo autoregolamentazione, limitata a protezione dei minori e hate speech”. Non sembra prospettarsi, dunque, uno scenario positivo per i broadcaster. Ma la soluzione è da trovare a monte. Come sostenuto nel 2015 Antonio Preto (allora commissario Agcom) “dobbiamo essere forward looking e definire un quadro di regole future proof, altrimenti la regolazione non sarà mai al passo con i tempi e rischiamo di definire regole già superate. La dinamica del mercato è chiara. Ma serve un intervento equilibrato e deciso per tutelare pluralismo e concorrenza anche nell’era della convergenza”.
Nel frattempo, sul fronte delle connessioni, in casa Mediaset si lavora al rilascio della banda 700Mhz che avverrà non prima del 2022 (termine ultimo fissato dall’Unione Europea): “Rilascio finale nel 2022, certo non prima. Serve che nel momento in cui verrà abbandonata la banda 700Mhz si possa contare sugli standard più premianti così da poter fornire un’offerta di grande qualità. Parlo di Dvb-t2 e Hevc, i nuovi standard in grado di raddoppiare la capacità trasmissiva. La transizione sarà laboriosa: pianificazione, coordinamento con gli Stati confinanti, riorganizzazione Tv locali, refarming”. Favore o no al settore Tlc (così Mediaset aveva classificato la decisione UE di anticipare il rilascio della banda), il Biscione dovrà impegnarsi nel raggiungere la deadline prefissata. Non senza “sforzi”, visto che la tv privata, per l’abbandono delle banda 700Mhz, avrebbe preferito avere un tempo a disposizione lungo dieci anni. (L.M. per NL)