Nel cinema dove ho visto l’attesissima prima parte di ‘Loro’, il film di Paolo Sorrentino su Berlusconi, era proiettato anche un promo di ‘Novecento’, il mitico film di Bertolucci degli anni ’70, nella nuova versione restaurata. Non è questione di fare ‘paralleli’ fra due opere di così diversa natura e impostazione (e anche epoca) ma la comparazione viene spontanea ricordando che anche ‘Novecento’ era composto di due parti e che era indispensabile vederle entrambe per poter valutare e analizzare il film.
Sì, perché questo ‘Loro 1’ lascia non già perplesso lo spettatore (Sorrentino è sempre Sorrentino, o lo si ama o si resta perlomeno indifferenti, è difficile un’altra scelta), ma magari un pochino freddo, insoddisfatto, convinto di non avere gli elementi, a metà dell’opera, per dare un giudizio definitivo e poter apprezzare o anche denigrare. È anche singolare la scelta di Sorrentino di fare un ‘doppio film’ (la seconda parte uscirà il 10 maggio), forse perché con la memorabile serie ‘The Young Pope’ ci aveva preso gusto, forse perché la dimensione ‘normale’ del lungometraggio (da un’ora e mezza a due ore, in genere) gli va ormai piuttosto stretta ed era allora opportuno approfittare di questa nuova occasione ‘internazionale’, dovuta anche al personaggio raffigurato, noto nel mondo (il film è una coproduzione Italia-Francia ed è distribuito dalla Universal), per sperimentare un minutaggio inconsueto.
Detto questo, si potrebbe sospendere ogni valutazione e riparlarne a maggio. Ma naturalmente non è opportuno neanche fare questo e si può azzardare se non un giudizio, un’impressione.
Sgombriamo intanto il campo da un’altra falsa aspettativa: ‘Loro’ non è ‘Il caimano’ per il semplice motivo che Sorrentino non è Nanni Moretti, che aveva trasformato una radicale critica politica in una ‘parabola estrema’ sul personaggio Berlusconi e sul suo immenso potere mediatico, governativo e anche giudiziario (mediante le leggi ad personam), che gli consentivano alla fine di portare a fondo il Paese pur di non perdere la sua partita con gli avversari.
Sorrentino mette invece in un angolo la politica, che chiaramente gli interessa relativamente, almeno sul piano artistico: riprendendo e accentuando ancor di più il discorso sul potere che era già stato oggetto di ‘Il divo’ su Andreotti, prova a approfondire il discorso su un piano ‘più alto’, come si era visto anche in ‘The Young Pope’ sul Papa e sul Papato.
E in questa prima parte sono di scena, all’inizio degli anni 2000, quelli che costituiscono un ‘punto fisso’ del potere, ovvero ‘loro’, la corte, gli aspiranti cortigiani, i corrotti, i ‘disposti a tutto’, la gente di nessuna qualità che cerca a tutti i costi un posto al sole e per questo ha come unici valori il successo, il servilismo, il denaro, il piacere, quella Televisione che questi valori propaganda e amplifica a getto continuo, colpendo a morte anche le pecore (l’immagine simbolica con cui il film inizia).
Ci sono dunque sesso, tanto sesso, coca, tanta coca, una politica che si identifica unicamente con la corruzione, la ricerca disperata di una vita tutta festaiola, senza valori, con una lotta a coltello per entrare nel cerchio ristretto più vicino a ‘Lui’. E siccome ‘tutto non è ancora abbastanza’ (altra frase emblematica dell’opera), c’è anche qualcosa di più di ‘Lui’: è quello che viene chiamato ‘Dio’, un personaggio talmente potente e ‘fuori dal mondo’ che deve camuffare la voce e l’aspetto e fa sesso ‘in 4 secondi’.
A qualcuno può sembrare ‘eccessivo’ questo simbolismo un po’ oscuro di Sorrentino (quello di ‘Dio’ non è certo l’unico del film) e per loro il divertimento sarà allora senza dubbio un altro: identificare quanto Scamarcio rappresenta Tarantini (parecchio, di sicuro), quanto Bentivoglio rappresenta Bondi (un po’ meno); poi, chi sarà mai quel ‘tetro personaggio’ che è sempre vicino a Berlusconi, di cui ‘conosce i segreti’ (Dell’Utri, Ghedini? Chissà…). Kasia Smutniak (che stavolta non disdegna anche il nudo) sarà poi la famosa Ape Regina – Sabina Began? E inoltre c’è sicuramente Noemi Letizia, c’è Apicella e ci sono (sembrerebbe) Patrizia D’Addario e forse anche Lele Mora (anche se delle ‘cene eleganti’ di Arcore qui non si parla, perché l’ambientazione è tutta sarda e romana). Nessuna traccia, invece, salvo incomprensioni, della ‘nipote di Mubarak – Ruby rubacuori’.
Tutto è molto elegante, naturalmente, esteticamente maestoso, come nella tradizione di Sorrentino, ma, a riprova che un giudizio definitivo non potrà prescindere dalla visione di entrambe le parti del film, succede che dopo un’ora di proiezione, dopo una travolgente cavalcata fra sesso, denaro e potere, a un certo punto si cambia totalmente tono e misura e anche ambientazione.
Scamarcio-Tarantini, impegnato allo spasimo, nella sua nuova villa sarda di fronte a Villa Certosa, nel dirigere uno spettacolo senza fine di sfrenato divertimento, teso ad attrarre l’attenzione del facoltoso dirimpettaio, osserva inutilmente, sconsolato, la villa del Cavaliere, che sembra vuota. ‘Dove sei, Silvio?’ – si domanda angosciato.
Silvio però in realtà c’è, ma ha altro da fare. Finalmente compare e subito diventa protagonista assoluto della scena. Berlusconi, nell’interpretazione di classe di Tony Servillo, è all’apice del potere, per certi versi (ha ormai cambiato in profondità la cultura e le aspirazioni di tutto il Paese e in tanti cercano solo di mettersi nel suo cono d’ombra), ma, giunto sulla soglia dei 70 anni, sembra anche un po’ angosciato: in politica smania ancora all’opposizione o giù di lì, ma soprattutto ha enormi problemi in privato con Veronica Lario, da cui non sembra volersi staccare del tutto.Lei però è ormai su un altro pianeta: legge Saramago tutto il giorno, ostenta distacco e estraneità alla vita dissoluta e inconsistente del marito, mal sopporta ormai le sue mille infedeltà, smania addirittura per andare in vacanza fra i templi della Cambogia e Lui le consiglia a quel punto una visita medica.
È qui che il film di Sorrentino, nell’ultima parte del suo primo atto, sembra addirittura virare verso i toni della ‘commedia fra coniugi’, un raffinato Sandra-Raimondo (ci si perdoni l’irriverenza), per capirci.
E nonostante tutte le sue mosse per avere sempre qualcuno intorno, Berlusconi a un certo punto sembra realmente solo e anche un po’ malinconico. Sarà la famosa solitudine del potere assoluto?
A lenire l’ingrato interrogativo, ecco il divertente ‘colpo di scena finale’: Berlusconi finge di non ricordare la ‘canzone galeotta’ del suo amore con Veronica, che era (sarà vero?) ‘Domenica bestiale’. Ma con grande scorno di Apicella e divertimento al contrario di Veronica, a cantarla dal vivo compare a quel punto Fabio Concato in persona, convocato all’uopo a Villa Certosa.
Una strizzata d’occhio allo spettatore e appuntamento, allora, fra circa quindici giorni. (M.R. per NL)