“Le tv locali sono lo specchio di un certo modo di governare l’Italia. Sono un caos, un ginepraio inestricabile in cui non c’è alcuna certezza. Quante sono? Forse 480. O almeno questo è l’ultimo numero noto nel 2012” si legge nell’articolo di Stefano Carli, apparso su Repubblica lunedì 1° dicembre.
Un caos che nasce a livello centrale, dal momento che non esiste un elenco stilato delle tv locali, ma occorre dedurle dal ROC (Registro Operatori Comunicazione), abbinato al catasto delle frequenze Agcom, all’elenco per gli Lcn, alla graduatoria derivante dalle singole graduatorie regionali per l’assegnazione dei contributi pubblici all’editoria, e ad altri elenchi ancora, specifici per l’assegnazione di altri fondi. Una lunga catena quindi, che non sembra semplificare le cose: e la legge di certo non aiuta. “Nell’ultimo bando del Mise per l’assegnazione dei fondi pubblici non si chiarisce la differenza tra impresa e emittente – spiega Michele Petrucci, presidente del Corecom Lazio e vicepresidente del Coordinamento di tutti i Corecom –; per cui noi, dovendo stilare la graduatoria in base alla quale il Ministero assegna i fondi, non sappiamo se certi requisiti, i dipendenti, il numero di giornalisti, i requisiti di fatturato, vadano ascritti all’emittente o all’editore. Serve chiarezza e soprattutto servono criteri di assegnazione più selettivi, a vantaggio della qualità e delle società che investono di più sui contenuti”. Proprio per tentare di dipanare l’intricata matassa, il Corecom Lazio ha commissionato a It Media Consulting (la società di ricerca e consulenza che opera nel campo dei contenuti e dei media digitali) uno studio teso a scattare una fotografia più netta del settore, a partire dalla quale iniziare a pensare una soluzione e una risistemazione. “Tutte le tv locali assieme hanno gli stessi dipendenti di Mediaset, fanno un decimo del suo fatturato e un centesimo dei suoi ascolti. I ricavi sono il fattore critico – dichiara Augusto Preta, direttore di It Media -: la pubblicità che a livello nazionale tra il 2008 e il 2012 è scesa dell’11,7%, nelle locali è crollata del 37,5%, nel Lazio ancora peggio, quasi del 50%. Nello stesso tempo i costi sono saliti del 13% a livello nazionale e del 75% nel Lazio, dove ci sono 49 editori e ben 164 canali. Gli ascolti delle emittenti rilevate dall’Auditel, scendono: sono passati, sul totale nazionale, dallo 0,16% del 2007 allo 0,03% del 2012. A livello locale e soprattutto sulle news (finora il vero punto di forza di queste tv) si sente fortissima la concorrenza di Internet, ma da parte degli editori non abbiamo registrato strategie importanti per sviluppare la loro presenza sul web”. Oltre agli ascolti, a calare sono anche i ricavi pubblicitari delle tv locali, che dagli 85 mln del 2012 sono passati ai 60 del 2013 e ai 55 di quest’anno. Meno spazio nel mercato dunque, ma anche nell’etere dal momento che – come ricorderanno i nostri lettori – per fine anno le locali della fascia adriatica che creano interferenze con l’estero dovranno spegnere le loro frequenze (anche se lo Sblocca-Italia propone proroghe fino ad aprile): una decina sono le pugliesi a rischio e nei prossimi anni toccherà alle regioni tirreniche e alla Sicilia che generano conflitti rispettivamente con la Corsica e con i maggiori paesi affacciati sul Mediterraneo. Come si è arrivati a questa situazione è presto detto: la nebbia e il caos nella sfera delle frequenze locali infatti sono scaturite dalla digitalizzazione del 2010, quando l’allora governo Berlusconi e il Ministro delle Comunicazioni Paolo Romani, hanno permesso alle emittenti di occupare le frequenze degli stati esteri. Bisognava arrivare in fretta per dare certezze al mercato pubblicitario delle tv nazionali e, per tenere a freno le minacce di blocchi e ricorsi delle locali e si scelse così la “via facile” dell’occupazione abusiva. E ora sono dolori. “Vedo una sola via d’uscita – ha reso noto Antonio Sassano, docente di Ingegneria a Roma ed esperto in tema di frequenze -: non solo assegnare alle locali le frequenze non attribuite nella recente gara dell’ex beauty contest, come già pensa il governo, ma andare oltre e assegnarle a gara ad operatori di rete regionali per ospitare fornitori di contenuti locali da selezionare con una gara di evidenza pubblica. Questa strategia è l’unico modo per valorizzare l’informazione locale di qualità e spingere gli editori a produrre programmi in grado di conquistare il pubblico e non solo di occupare spazio”. Ieri intanto ha preso il via lo spot delle imprese televisive locali, in collaborazione con l’Associazione Aeranti-Corallo, per far sentire la propria voce contro le “inaccettabili recenti scelte governative che penalizzano fortemente il comparto televisivo locale". Più di trecentomila spot saranno trasmessi dalle stazioni del territorio in tutta Italia: l’iniziativa vuole fare conoscere all’opinione pubblica il pericolo black-out per le 144 reti televisive locali che a breve dovranno restituire le frequenze su cui trasmettono perché creano interferenze e disturbi alle televisioni oltre confine. Canali che, non dimentichiamo, le tv locali italiane si sono viste assegnare dallo Stato nel 2012 per venti anni e che adesso devono "riconsegnare" sulla base di quanto deciso a livello europeo. Altre poi le criticità messe in luce dall’iniziativa, tra cui spiccano i discutibili criteri per la determinazione dei canoni, con forti squilibri tra locali e nazionali, accompagnati dalla Legge di Stabilità 2015, che rimette ancora una volta in discussione le numerazioni del telecomando. Lo spot passa la palla finale al Governo che “deve decidere se vuole ancora le tv locali”. (V.R. per NL)