Sono anni, ormai, che giornalisti e dipendenti di Telereporter lavorano sul filo del rasoio, tra licenziamenti improvvisi, vicende giudiziarie che hanno visto coinvolti il proprietario dell’emittente Raimondo Lagostena e cassa integrazione di massa.
Telereporter è un’emittente televisiva nata nel 1977 a Rho, in provincia di Milano, attualmente edita dal gruppo Profit e che, dopo aver lanciato numerosi talenti televisivi negli anni Ottanta e Novanta, nel 2002 si è fusa con la ligure Canale 7, espandendo il suo bacino d’utenza fino alle coste del Tirreno. Due anni dopo le frequenze liguri sono state vendute a Mediaset, che le avrebbe riutilizzate in vista dell’avvento del DTT, mentre nel frattempo la tv aveva già aperto succursali a Roma e trasmetteva in alcune regioni del Sud Italia. Proprio da Roma, nel 2009, erano arrivati i primi grossi problemi. Il 10 giugno di quell’anno, senza alcun preavviso, giornalisti e personale romano furono licenziati in tronco, con decorrenza immediata. Da quel momento gli spazi di informazione romani sono riempiti con contenuti prodotti a Milano, mentre l’emittente continua a vivere sul digitale terrestre, al canale 113. L’anno passato un altro polverone aveva travolto la redazione e i vertici della tv locale. A novembre 2009 venne arrestato il patron Raimondo Lagostena, con l’accusa di aver pagato una tangente da 230mila euro all’ex assessore Pier Gianni Prosperini per ottenere un maxi appalto per la promozione del turismo lombardo. Dopo un periodo in carcere, Lagostena patteggiò una pena a 2 anni e 10 mesi di reclusione, ai domiciliari, e il rimborso di 150mila euro, di cui 125mila da destinare a Emergency. Mentre il proprietario sembrava muovere fiumi di denaro, la situazione dei suoi dipendenti si palesava già disastrosa: nell’aprile 2010, dopo nove mesi di cassa integrazione, otto giornalisti della redazione erano stati licenziati, alcuni poco prima di andare in onda. La metà della redazione era in cassa integrazione e tra loro v’erano anche due giornaliste con figli piccoli. I dipendenti licenziati, disperati, si erano rivolti a Striscia la Notizia. Nuovi guai, infine, la scorsa settimana. L’emittente aveva annunciato nuovi licenziamenti, ben 35, tra le fila dei suoi dipendenti che, come si legge in una nota dell’Ansa, sono protetti da contratto FRT (Federazione Radio Televisioni), siglato da Cgil, Cisl e Uil, e non hanno quindi un comitato di redazione, come nel caso dei giornali, ma confidano in un organismo sindacale interno (RSU, Rappresentanza sindacale unitaria). I licenziamenti hanno provocato, nei giorni scorsi, numerose proteste davanti agli uffici di via Mambretti a Milano, fino alla scelta di proclamare otto ore di sciopero, anche per denunciare il mancato pagamento di tre mesi di stipendio. “L’adesione all’astensione dal lavoro è stata quasi totale. – ha affermato Sabrina Grilli dell’Rsu – L’azienda ha aperto una procedura di licenziamento tramite mobilità – ha spiegato – per un terzo dei dipendenti che sono ora 107 che riguardano soprattutto la parte dell’informazione e della produzione, cioè il cuore dell’attività. In pratica si azzera una voce storica dell’emittenza lombarda”. Cosa chiedono ora i giornalisti? “Il saldo immediato della retribuzione” e la denuncia dell’assenza “di un piano industriale completo e dettagliato”. (G.M. per NL)