Dopo Radio Nostalgia, l’emittente interregionale de La Stampa confluita nel gruppo lombardo Number One dopo una lunga fase di inedia e l’assorbimento nel quotidiano torinese della storica testata genovese Secolo XIX (che pure edita una Radio 19 in attesa di conoscere il proprio futuro), ad avviare un processo di ristrutturazione è la principale tv ligure.
In data 5 gennaio 2015 la direzione dell’emittente televisiva Primocanale (azionista di maggioranza Maurizio Rossi, senatore e mebro della Commissione di vigilanza RAI) ha comunicato alle organizzazioni sindicali di categoria l’apertura di una procedura di licenziamento collettivo ai sensi della legge 223 del 1991, che coinvolge 13 dipendenti sui 34 attuali dell’emittente televisiva genovese: 6 giornalisti, 5 tecnici e 2 amministrativi. Su iniziativa della organizzazioni SLC-CGIL, FILSTEL, CISL e UILCOM in data 13/01/2015 veniva quindi sottoscritto un accordo sindacale con la proprietà che stabiliva 5 mesi di cassa integrazione in deroga e quindi, di fatto, un blocco della procedura di licenziamento in atto. Il sindacato SLC-CGIL di Genova, sul punto, evidenzia come "l’iniziativa sindacale, per quanto importante, costituisca solo un rinvio ad una drammatica situazione di primocanale che, peraltro, lo sottolineiamo, esce da due anni di contratti di solidarietà difensivi«. «Una crisi sicuramente determinata dalle difficoltà economico-finanziaria del settore radio-televisivo del nostro paese – spiega l’ente esponenziale – calo di pubblicità, difficoltà della classe politica a rappresentare correttamente il settore, ma che evidenzia anche elementi di fragilità organizzativa di Primocanale che, troppo spesso in questi anni, ha utilizzato personale in consulenza e che purtroppo vede ancora oggi lavorare addirittura in posizione di vertice personale già in pensione. Appare evidente – prosegue il portatore di interessi diffusi – come questa filosofia sia del tutto perdente sia dal punto di vista organizzativo che dal punto di vista della qualità del prodotto. Non sfuggirà a nessuno che con questa crisi Primocanale tenta una operazione di riorganizzazione con l’effetto di espellere 13 dipendenti dal proprio sito per poterne poi utilizzare altri con contratti atipici di collaborazione e di consulenza, con ulteriori effetti negativi sul mondo dell’informazione genovese«. In realtà, ad essere in crisi è il sistema media ligure, troppo attaccato ad un mondo fallace, che da tempo si sta sgretolando; un mondo eccessivamente connesso ad un’amministrazione pubblica dalle mani bucate e da una gestione allegra, quando non spregiudicata. Finita l’epoca grandiosa dei Perrone (Secolo XIX e Tivuesse Telesecolo, confluita nel 1984 nella nascente Retequattro), dei Mantovani (Cameli Petroli) e dei Garrone (ERG), la Liguria non è riuscita a darsi una successione imprenditoriale che fosse disancorata dal settore pubblico in quasi tutti i principali ambiti. D’altro canto, nel dettaglio che c’interessa, l’abbiamo scritto più e più volte, l’inizio della fine delle tv locali è stato costituito dai sovvenzionamenti pubblici, distribuiti, nei tempi d’oro, con una generosità tale da disincentivare lo sviluppo commerciale. Perché cercare inserzionisti quando lo Stato bonificava somme ben superiori senza quasi nulla fare e soprattutto nulla pretendere? Poi però il giocattolo s’è rotto e la rincorsa al mercato (perduto) si è scontrata prima col presidio dei nuovi media che l’avevano colonizzato nell’indifferenza dei mezzi di comunicazione tradizionali e poi con la crisi economica che ha ristretto i cordoni delle borse. Beninteso, non è un problema solo ligure, ma diffuso a livello nazionale, seppur in alcune aree in forma più marcata. "Da un paio d’anni una delle nostre attività più richieste è quella della ristrutturazione aziendale", spiega il giurista Stefano Cionini, partner di Consultmedia, principale struttura italiana di competenze a più livelli in ambito radiotelevisivo (collegata a questo periodico). "Dal Piemonte alla Lombardia, dal Veneto all’Emilia, dal Lazio alla Puglia, ormai stime aziendali, perizie sulla consistenza economica, piani di riorganizzazione, scissioni, spin-off, incorporazioni e fusioni sono le nostre attività tipiche", continua Cionini, tradendo una certa rassegnazione sull’attuale situazione del mezzo tv locale. "Non si tratta di tagliare le teste in maniera generalizzata, ma di indicare l’unica uscita dal labirinto in cui incautamente molti editori si sono cacciati ascoltando le sirene che inneggiavano al digitale terrestre. Ma si badi bene: non è il DTT ad essere sbagliato; il passaggio alla tecnica di trasmissione numerica era un’evoluzione tecnologica imprescindibile. L’errore è stata la scellerata modalità con la quale è stato attuato: l’equazione 1 canale analogico = 1 mux è stata micidiale. Il sistema non era pronto a sostenere la moltiplicazione per 6 del panorama televisivo. E questo gli editori e le loro organizzazioni sindacali avrebbero dovuto capirlo (e del resto molti osservatori – noi tra questi – avevano messo in guardia su quello che poi è inevitabilmente accaduto). Così i player nazionali (nativi o minori esistenti), come predatori spinti dalla fame, hanno razziato il pascolo costituito dagli inserzionisti regionali o pluriregionali, storico appannaggio delle grandi tv locali, privandole di un’essenziale fonte di sostentamento". "Il comparto sopravvivrà – spiega Cionini – ma a condizione di rimettersi in discusione sia come impianto organizzativo, massimizzando i costi variabili e minimizzando quelli fissi, che come layout commerciale ed editoriale. Il modello delle tv locali ha ragione di esistere solo se si adegua ai tempi: non deve entrare in competizione con i nuovi media, ma supportarli; non deve competere con i programmi nazionali, ma rendersi vettore degli stessi in forma consortile oppure integrarli". (E.G. per NL)