Il 25/02/2025 si terrà l’Udienza Pubblica presso la Corte Costituzionale (relatore giudice prof. dr. Giovanni Pitruzzella) avente ad oggetto i contributi pubblici alle emittenti televisive e radiofoniche, di cui al d.P.R. n. 146/2017 (Regolamento concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali).
Una eventuale dichiarazione di incostituzionalità avrebbe effetti destabilizzanti per le grandi emittenti, che si vedrebbero ridurre in forma significativa i contributi, a favore delle emittenti minori, in particolare quelle dalla 101° posizione. Ecco il punto della situazione
Sintesi
Sulla Gazzetta Ufficiale del 22/05/2024 sono state pubblicate le due ordinanze del Consiglio di Stato pubblicate il 06/02/2024 con le quali i giudici amministrativi hanno ritenuto “rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2018, n. 108, e art. 13, comma 1-bis, del decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, come convertito con modificazioni dalla legge 15 dicembre 2023, n. 191”, rimettendo alla Corte Costituzionale la questione del cd. “scalino preferenziale”, sospendendo i giudizi “fino alla definizione dell’incidente di costituzionalità”. Esame che avverrà, secondo il calendario della Consulta, il 25/02/2024.
La vicenda
Ma cosa è successo compiutamente? E, soprattutto, che effetti potrebbe avere una dichiarazione di incostituzionalità del cd. “scalino preferenziale”.
Partiamo dall’inizio, per comprendere gli effetti di un provvedimento che potrebbe rimettere in discussione l’annosa questione della ripartizione dei contributi alle tv locali.
Lo stimolo
Ad aver stimolato le ordinanze del Consiglio di Stato è stata la L. 191/2023, di conversione del D.L. 145/2023 (“Misure urgenti in materia economica e fiscale, in favore degli enti territoriali, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili”).
Interpretazione autentica
Con tale provvedimento legislativo, all’art. 13 c. 1-bis era stata effettuata l’interpretazione autentica dell’articolo 4-bis del D.L. n. 91/2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 108/2018, nella parte in cui riporta integralmente il d.P.R. n. 146/2017 , nel senso che “il rinvio operato alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, ha inteso attribuire valore di legge a tutte le disposizioni ivi contenute a decorrere dalla sua entrata in vigore”.
Il testo dell’art 13 del D.L. convertito nella L. 191/2023
L’art 13 – Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. n. 191/2023 dispone che: “1-bis. Per lo stesso fine, l’articolo 4-bis del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2018, n. 108, nella parte in cui riporta integralmente il decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, si interpreta nel senso che il rinvio operato alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, ha inteso attribuire valore di legge a tutte le disposizioni ivi contenute a decorrere dalla sua entrata in vigore”.
Stabilizzazione del gradino
Sul punto, nell’articolo illustrativo del dicembre 2023, avevamo osservato come “salvo future decisioni della Corte Costituzionale, [la L. 191/2023] definisce pertanto la controversa vicenda oggetto di numerosi ricorsi avanti ai giudici amministrativi (TAR e Consiglio di Stato)”.
La graduatoria definitiva delle tv commerciali per l’anno 2023
La novella risultava già citata nel preambolo del decreto direttoriale del 22/12/2023 con cui erano stati approvati la graduatoria definitiva e l’elenco degli importi dei contributi da assegnare alle emittenti televisive a carattere commerciale per l’annualità 2023.
Il Regolamento DPR 146/2017
Il Regolamento DPR 146/2017, come noto, disciplina i criteri di riparto e le procedure di erogazione delle risorse finanziarie del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione assegnate al Ministero per la concessione dei contributi di sostegno alle emittenti televisive e radiofoniche locali.
I contributi
I contributi sono destinati all’emittenza locale (tv titolari di autorizzazioni, radio operanti in tecnica analogica e titolari di autorizzazioni per la fornitura di servizi radiofonici non operanti in tecnica analogica, emittenti radiofoniche e televisive a carattere comunitario) e vengono concessi sulla base di criteri che tengono conto del sostegno all’occupazione, dell’innovazione tecnologia e della qualità dei programmi e dell’informazione anche sulla base dei dati di ascolto.
Requisiti di ammissione
I requisiti di ammissione al contributo tengono conto, tra l’altro, di un numero minimo di dipendenti e giornalisti, in regola con i versamenti dei contributi previdenziali, che l’emittente deve avere per il marchio e la regione per i quali presenta la domanda. Ad ogni emittente che accede ai contributi verrà assegnato un punteggio in base al quale viene quantificato il contributo.
Per le emittenti Tv
Per le tv commerciali sono previsti specificatamente i seguenti requisiti:
1) numero di dipendenti pari a 14 (di cui 4 giornalisti) dedicati alla fornitura di servizi media audiovisivi se il territorio in cui sono diffuse le trasmissioni nell’ambito di ciascuna regione per cui è stata presentata la domanda ha più di 5 mln abitanti. Numeri che scendono a 11 (di cui 3 giornalisti) se il territorio nell’ambito di ciascuna regione per cui è stata presentata la domanda ha tra 1,5 e 5 mln abitanti; a 8 (di cui 2 giornalisti) se il territorio nell’ambito di ciascuna regione per cui è stata presentata la domanda ha fino a 1,5 mln abitanti;
2) impegno a non trasmettere (per i soli marchi/palinsesti per i quali si è presentata domanda) programmi di televendita nella fascia oraria quotidiana tra le 7 e le 24 superiori al 40% relativamente alla domanda per il 2018. Percentuale che è scesa al 30% relativamente alla domanda per il 2019 e al 20% a partire dalla data di presentazione della domanda per l’anno 2020;
3) adesione ai codici di autoregolamentazione su televendite, tutela dei minori e avvenimenti sportivi;
4) aver trasmesso nei marchi e palinsesti per cui presentano domanda, nell’anno solare precedente a quello della presentazione dell’istanza, almeno due edizioni giornaliere di telegiornali con valenza locale (con decorrenza dalla domanda per l’anno 2019).
5) Regolarità nel pagamento dei contributi e (anche) diritti amministrativi dovuti dagli operatori di rete al Ministero, per i soggetti che svolgono entrambe le attività.
Per le emittenti radiofoniche
Per le radio è previsto un numero minimo di 2 dipendenti dei quali almeno un giornalista.
Emittenti a carattere comunitario
Il 50% del finanziamento dedicato alle emittenti comunitarie viene ripartito in parti uguali tra tutti i soggetti beneficiari ammessi; l’altro 50% sulla base dei criteri di merito riguardanti dipendenti e giornalisti. Possono accedere ai contributi le emittenti televisive a carattere comunitario che si sono impegnate a trasmettere programmi di televendite per una durata giornaliera non superiore ai 90 minuti.
Il contenuto dell’ordinanza del Consiglio di Stato del gennaio 2024
Ciò premesso, nelle sue ordinanze, il Consiglio di Stato rilevava come “Gli elementi emersi confermano i dubbi di compatibilità con i (…) principi costituzionali, di una disciplina che sancisce uno scalino preferenziale a vantaggio dei primi cento classificati, cui viene destinata la quasi totalità della contribuzione (95%), senza prevedere accorgimenti volti ad impedire la concentrazione delle risorse pubbliche in taluni ambiti territoriali (generalmente i più popolati) a discapito di altri, in violazione del principio del pluralismo dell’informazione e dei connessi valori predetti”.
Squilibrio distributivo delle risorse
Continuava il CdS nei provvedimenti di rimessione alla Corte Costituzionale: “Pur dinanzi alla legittima e ragionevole scelta di una graduatoria unica nazionale, anche in termini di semplificazione procedimentale, a fronte di elementi di valutazione suscettibili di condurre a risultati differenziati a seconda dell’ambito territoriale di afferenza di ogni concorrente, occorre adottare accorgimenti idonei – in applicazione dei principi di ragionevolezza e di tutela del pluralismo informativo – ad evitare una squilibrata distribuzione delle risorse in ambito locale, dovendosi superare il rischio che alcune aree territoriali siano sottorappresentate o perfino escluse dalla contribuzione pubblica, in violazione del pluralismo informativo, che – come osservato – impone di assicurare la pluralità di voci concorrenti in ciascun ambito territoriale in cui viene svolta l’attività radiotelevisiva”.
Adeguato finanziamento pubblico per numero congruo di operatori
“Non si tratta – secondo i giudici amministrativi – di destinare la contribuzione a tutti i candidati in possesso dei requisiti di ammissione, in coerenza con i principi espressi nella sentenza n. 206 del 2019 della Consulta, quanto piuttosto di assicurare che, in ogni ambito regionale, vi sia un adeguato finanziamento pubblico in favore di un numero congruo di operatori, necessario per garantire quel concorso di voci, in assenza del quale non potrebbe attuarsi il principio del pluralismo informativo, per come sopra declinato.
Regionalismo
Ciò anche in considerazione del regionalismo che caratterizza l’evoluzione dell’ordinamento giuridico generale, anche nella materia in esame ed in relazione all’ordinamento delle comunicazioni ex art. 117, comma 3, Cost.
Pluralismo informativo
In proposito, anche in questa materia concorrente la normativa statale, in quanto fonte dei principi fondamentali, è chiamata proprio a garantire il rispetto di quei principi in tema di pluralismo informativo, come sopra declinati.
La pronuncia 206/2019
D’altronde, nella stessa pronuncia n. 206/2019, codesta Corte ha ribadito che, in un settore come quello in esame, caratterizzato dalla presenza di un diritto fondamentale, vi è l’esigenza che il quadro normativo sia ricondotto a trasparenza e chiarezza, e, in particolare, che l’attribuzione delle risorse risponda a criteri certi e obiettivi”, scrivevano i giudici.
Accorgimenti a supporto dello scalino preferenziale
“La disciplina in esame non risulta accompagnata, anche in termini di ragionevolezza ex art. 3 Cost., da accorgimenti necessari al rispetto dei principi predetti; infatti, prevedendo uno scalino preferenziale che riserva alle prime cento classificate, a prescindere dall’ambito territoriale di operatività, la quasi totalità dei contributi pubblici (pari al 95%), per di più a fronte di criteri selettivi formulati in valore assoluto e suscettibili di influire diversamente a seconda dell’ambito territoriale di operatività di ciascun concorrente (se maggiormente o meno popolato), dà vita in radice ad un riparto irragionevole e non paritario, in termini di pluralismo informativo come declinato dalla giurisprudenza costituzionale”, continuava il CdS.
Misura incompatibile col principio del pluralismo informativo
“Tale misura appare quindi incompatibile con il principio del pluralismo informativo, di cui agli artt. 3 e 21 Cost. Infatti, riservando la quali totalità della contribuzione pubblica ai primi cento classificati a prescindere dall’ambito territoriale di operatività, destinando ai rimanenti concorrenti una quota del tutto trascurabile (5%) dello stanziamento annuale e selezionando le emittenti sulla base di criteri selettivi in valore assoluto, pure suscettibili di influire sulla graduazione del punteggio a seconda della popolazione residente in ciascuna Regione, non si garantisce che in ciascun ambito territoriale vi siano più operatori beneficiari di un effettivo e adeguato finanziamento pubblico, essendo ben possibile che le elargizioni economiche si concentrino presso emittenti, sì caratterizzate da rilevanti dimensioni organizzative, indici di ascolto e spese di investimento in tecnologie innovative, ma operanti in alcuni soltanto degli ambiti regionali presi in esame (corrispondenti, di regola, a quelli più popolati).
Giurisprudenza costituzionale
In proposito, la giurisprudenza costituzionale ha già avuto modo di ribadire (cfr: Corte Costituzionale, 12 aprile 2005 n. 151) che la contribuzione in materia debba seguire una evidente esigenza di esercizio unitario della funzione, non potendo un siffatto intervento a sostegno del pluralismo informativo non essere uniforme sull’intero territorio nazionale”, sottolineavano i supremi giudici amministrativi.
Rischio difformità sul territorio nazionale
“Orbene, gli effetti della disciplina in contestazione, così come evidenziati, comportano un evidente rischio di difformità sul territorio nazionale. Tale esito può produrre, altresì, effetti distorsivi della concorrenza (rilevando quindi anche ai sensi dell’art. 41 Cost.), stante l’idoneità della disciplina in contestazione a beneficiare un numero in ipotesi estremamente ristretto di operatori (in ipotesi, anche uno soltanto) esercenti nell’ambito del medesimo ambito territoriale, a fronte di livelli di efficienza analoghi.
A cavallo
In particolare, è ben possibile che, a cavallo della centesima posizione, si collochino plurimi operatori esercenti nel medesimo ambito territoriale, di cui uno soltanto (o, comunque, un numero estremamente ridotto) entro la centesima posizione, in tale modo ammesso a concorrere a valere sul 95% dello stanziamento annuale.
Effetti dell’assenza di correttivi allo scalino preferenziale
In tali ipotesi, la previsione di uno scalino preferenziale in assenza di correttivi relativi all’ambito territoriale di operatività dei concorrenti, è idonea a produrre effetti distorsivi della concorrenza, determinando un (rilevante) diverso trattamento contributivo di emittenti operanti nello stesso mercato, caratterizzate da analoghi livelli di efficienza e, dunque, agevolando irragionevolmente soltanto uno (o un numero estremamente ridotto) di essi nello svolgimento dell’attività di impresa.
L’intervento della Agcm
Tali elementi risultano altresì censurati anche dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella segnalazione n. S3892 – redatta ai sensi dell’art. 21 della L. n. 287/90 – in cui si è rilevato: “ in questa prospettiva presenta criticità sotto il profilo concorrenziale la previsione secondo cui il 95% delle risorse disponibili è assegnato alle prime cento emittenti televisive in graduatoria, mentre il restante 5% è ripartito tra quelle che si collocano dal centunesimo posto in poi”, enfatizzava il CdS nelle sue ordinanze.
Sperequazione
“Tale previsione, infatti, è suscettibile di determinare una sperequazione nella distribuzione delle risorse tra emittenti che, posizionandosi nella medesima zona della graduatoria (intorno alla centesima posizione), devono ritenersi caratterizzate da livelli di efficienza confrontabili.
Implicazioni distorsive
In particolare, ciò potrebbe avere implicazioni distorsive della concorrenza nella misura in cui due o più delle emittenti sulle quali impatta la discontinuità introdotta dalla specificazione appena richiamata si trovano a operare nel medesimo ambito locale”, rimarcavano i giudici amministrativi superiori.
Irragionevolezza della previsione normativa astratta
Invero, non si fa questione di circostanze meramente ipotetiche, suscettibili di essere scrutinate solo ove dovessero in concreto verificarsi, ma dell’irragionevolezza della previsione normativa astratta, suscettibile di determinare una distorsione della concorrenza”, osservava il CdS..
Il testo delle ordinanze
Qui il testo di una delle due ordinanze speculari del Consiglio di Stato pubblicata il 06/02/2024.
Gli effetti
Ma, tornando al quesito iniziale: che conseguenze avrebbe per il settore una eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma del DPR 146/2017 relativa allo scalino preferenziale (che avrebbe effetti ex tunc)?
La posizione di Confindustria sullo scalino preferenziale
Secondo Maurizio Giunco, presidente della Associazione Tv Locali di Confindustria Radio Tv), intanto andrebbe chiarito che “il rinvio alla Corte Costituzionale da parte del Consiglio di Stato non attiene alla supposta illegittimità dello scalino preferenziale, bensì alla legittimità costituzionale dell’articolo 4 bis del decreto legge 25 luglio 2018, n.91, che eleva al rango di legge il D.p.r. 146, e dell’articolo 13, comma 1 bis, del decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, fornendo un’interpretazione autentica della predetta norma”.
Valorizzazione “ragionevole” di indici di ascolto e numero di dipendenti impiegati
Non va poi dimenticato che le sentenze del Consiglio di Stato del 9 settembre 2022 non hanno dichiarato l’illegittimità dell’impalcatura del D.p.r. 146, relativamente alla valorizzazione “ragionevole” degli indici di ascolto ed al computo del numero dei dipendenti.
In discussione solo lo scalino preferenziale, che però è uno stimolo
Si sono limitate a dichiarare l’illegittimità della sola previsione, contenuta nell’art. 6, comma 2, del citato D.p.r., riferita alla formazione di una graduatoria con uno scalino preferenziale in favore dei primi 100 classificati, il quale in realtà rappresenta uno stimolo a migliorare la propria struttura e la propria programmazione.
Miglioramenti
Infatti, non sono pochi i FSMA che, occupando inizialmente posizioni superiori alla 100° sono poi riusciti a superare lo “scalino” migliorando le proprie performance.
La ratio del regolamento
D’altra parte, il legislatore, con il nuovo regolamento, ha inteso proprio sostenere le aziende che svolgono un reale servizio di pubblica utilità, garantiscono occupazione, e riscuotono consensi di pubblico.
La genesi
Bisogna rammentare che il D.p.r. 146 nasce, in sostituzione della L.448/1998, tenendo conto della deliberazione della Corte dei Conti 28 dicembre 2015, n.13/2015/G nella quale si sollevavano una serie di perplessità circa la polverizzazione delle provvidenze (cd. contributi a pioggia) e sulla mancanza di una specifica finalizzazione dei contributi.
Scenario inquietante
Una eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma del DPR 146/2017 relativa allo scalino preferenziale avrebbe effetti ex tunc, determinando uno scenario “Molto più che inquietante: l’ipotesi che ne potrebbe conseguire è una revisione dei contributi già liquidati sulla scorta dello scalino preferenziale, con restituzioni o conguagli per le imprese che li hanno percepiti.
Effetti nel tempo
A ciò si andrebbero a sommare i minori introiti che l’annullamento dello scalino comporterebbe per le annualità future, che interesserebbe proprio le emittenti più performanti.
Contromisure indispensabili
Mi auguro che in questo ipotetico caso, il Ministero possa individuare soluzioni al fine di sostenere le aziende che dovrebbero restituire un’importante quota riconosciuta per svariati anni. Quota peraltro percepita legittimamente in virtù di una legge dello Stato.
Ricadute sul comparto
In tal caso, comunque, le ricadute sul comparto sarebbero devastanti e andrebbero logicamente a colpire soprattutto le emittenti più strutturate.
Piano B
Ma esiste un Piano B con un nuovo regolamento?. Secondo Giunco, “Il percorso per la realizzazione del D.p.r. 146 ha richiesto circa due anni. Esistono naturalmente una serie di possibilità di revisione dell’attuale norma, ma ciò che preoccupa di più sono i tempi necessari, tempi che penalizzerebbero tutti, i primi 100 FSMA e quelli che sono posizionati oltre.
Intervento… salutare
Il Ministero dovrebbe intervenire con qualche lieve modifica senza scardinare i pilastri della 146, in alternativa, a mio avviso, si rischia di salutare i contributi e le televisioni locali”. (A.N. per NL)