Ricordate la storia di Lbc, l’emittente libanese al centro di uno scandalo per aver trasmesso un talk show in cui un uomo documentava e si vantava delle sue avventure sessuali?
La notizia, non troppo datata, risale allo scorso agosto. Allora le autorità saudite avevano annunciato la chiusura della sede saudita, nella capitale Riad, della tv araba, e l’uomo, Mazen Abdul Jawad, era stato arrestato. Lo scorso 7 ottobre Jawad è stato condannato a cinque anni di detenzione e a 1000 frustate per condotta immorale e violazione della sharia, la legge islamica. Non solo, tre suoi amici che goliardicamente avevano partecipato alla trasmissione, hanno subito una condanna a due anni di reclusione e 300 frustate a testa. L’emittente Lbc, inoltre, è stata oscurata ed è partita una caccia all’uomo nei confronti del principe saudita, il miliardario Al Walid Bin Talal, proprietario del network e del gruppo Rotana, che comprende diversi canali. Ora, l’emittente libanese torna alla (triste) ribalta delle cronache perché una sua giornalista, la ventiduenne Rozana Al Yami, è stata condannata da un tribunale del suo paese a sessanta frustate con delle motivazioni che hanno del grottesco. In un primo momento, infatti, la giornalista era stata accusata d’aver partecipato alla preparazione del programma in cui Mazen Abdul Jawad raccontava delle sue performance sessuali e d’averlo pubblicizzato sul web. Successivamente, però, il giudice ha fatto decadere tali accuse, dichiarandola semplicemente “colpevole” d’aver partecipato part-time alla trasmissione incriminata, ritenendo, ad ogni modo, di doverle infliggere una pena di 60 frustate. È la prima volta che una sentenza del genere colpisce una giornalista nel mondo arabo. Rozana Al Yami ha annunciato che non farà nemmeno ricorso nei confronti della pena inflittale, per paura di riceverne una ancora più dura. “E’ una condanna per tutte le giornaliste”, avrebbe detto all’Afp. (Giovanni Madaro per NL)