Uno studio Media Progress fa il quadro della curiosa logica di ripartizione delle tv locali in Italia post refarming della banda 700 MHz.
Come noto, il Ministero delle imprese e del made in Italy ha pubblicato l’aggiornamento delle autorizzazioni per fornitori di servizi di media audiovisivi (FSMA) in ambito locale al 12 aprile 2023, suddividendolo per aree tecniche (regioni, raggruppamenti di regioni, province autonome).
Non si tratta, naturalmente, di un elenco definitivo in quanto sono in corso di rilascio nuove autorizzazioni, così come alcune scadranno senza essere rinnovate.
Ma è comunque un quadro interessante della mutata distribuzione delle tv locali italiane successivamente al refarming (con la conseguente minore disponibilità di capacità trasmissiva in talune aree tecniche e conseguentemente dell’aumento dei costi di trasporto) ed all’evoluzione del mercato della televisione lineare via etere.
L’analisi di Media Progress
L’esame che ci apprestiamo a condurre riporta alcuni stralci dell’introduzione di un complesso studio condotto da Media Progress, società della galassia Consultmedia che si occupa di analisi di mercato per investitori italiani ed esteri.
Regioni affollate
“La regione con maggior numero di emittenti locali è la Sicilia, con 76 FSMA (a fronte di una rete di 1° livello e 4 di 2° livello con province completamente scoperte da queste ultime Sr e Ct), seguita dal Lazio con 74 (vs una rete di 1° livello e 5 di 2° livello con province completamente scoperte Vt e Lt) e dalla Calabria, con 72 FSMA (una rete di 1° livello e 3 di 2° livello con province completamente scoperte Rc, Cs e Kr)“, si legge nella sezione introduttiva dello studio Media Progress.
Campania, Toscana, Lombardia
“Sotto la soglia delle 70 emittenti troviamo poi la Campania (64, con una rete di 1° livello e 5 di 2° livello, senza province scoperte), la Toscana (63, vs una rete di 1° livello e 5 di 2° livello con province completamente scoperte Gr, Pi, Li, Ms, Lu) e la Lombardia ed il Piemonte orientale (62, vs due reti di 1° livello e due di 2° livello con province completamente scoperte Bg, Co, Lc, Mi, MB, Pv, Va, Al, Bi, No, Vb, Vc, Pc)”, continua lo studio.
Emilia Romagna, Piemonte, Umbria, Puglia e Basilicata, Abruzzo e Molise, Veneto
“Lo step successivo vede un crollo di numero di FSMA con Emilia Romagna a 42 (vs una rete di 1° livello e 3 di 2° livello con province completamente scoperte Fe, Fc, Ra, Rn), seguita da Piemonte (39, vs una rete di 1° livello e 2 di 2° livello con province completamente scoperte Al, Bi, No, Vb, Vc) Umbria (37, a fronte di una rete di 1° livello e 3 di 2° livello con nessuna provincia scoperta) Puglia e Basilicata (35, a vs una rete di 1° livello e 3 di 2° livello con province completamente scoperte Ta, Le e Fg) Abruzzo e Molise (34, contro una rete di 1° livello e 4 di 2° livello con province completamente scoperte Ch, Te e Cb) e Veneto (31, vs una rete di 1° livello e 1 di 2° livello solo per Bl)”, prosegue l’analisi.
Aree a bassa densità di emittenti
“Sotto le 30 stazioni troviamo le Marche (26 FSMA, a fronte di una rete di 1° livello e 1 di 2° livello con province completamente scoperte Ap e Pu) la Liguria (25, contro una rete di 1° livello e 1 di 2° livello con province completamente scoperte Sp) la Provincia autonoma di Bolzano (22, vs tre rete di 1° livello)”, si legge nel report di Media Progress.
Il caso singolare della Val d’Aosta
“Tra 10 e 19 FSMA vi sono il Friuli Venezia Giulia (18 FSMA, vs di una rete di 1° livello e 1 di 2° livello con province completamente scoperte Ud e Pn) la Sardegna (16, contro di una rete di 1° livello), la Provincia autonoma di Trento (12, a fronte di una rete di 1° livello) e la Val d’Aosta (11, di cui peraltro 3 costituiti da ripetizioni di emittenti francesi, vs una rete di 1° livello e 1 di 2° livello senza province scoperte)”, spiega la relazione.
Reti di 2° livello non sufficienti
“Dall’analisi effettuata le reti di 2° livello non risultano completamente funzionali alla distribuzione dei FSMA su tutte le province nelle varie regioni. Alle situazioni ideali che riguardano la Campania, dove le reti di 2° livello – una regionale e 4 sub-provinciali – non lasciano scoperta nessuna provincia, e l’Umbria (due rete di 2° livello che coprono l’intera regione), fanno da contraltare le criticità in Toscana, dove nessuna delle reti di 2° livello copre 5 province su 10, ed il Veneto dove esiste una rete di 2° livello che copre la sola provincia di Belluno lasciandone fuori ben 7”, sottolinea Media Progress.
Motivazioni della distribuzione dei FSMA
“La diversa distribuzione non trova ovviamente ragione solo nella maggiore o minore disponibilità di capacità trasmissiva“, commenta Giovanni Madaro, economista che ha contributo allo studio di Media Progress.
Disponibilità di capacità trasmissiva ed interesse del mercato commerciale
“Se è vero che ci sono regioni con diverse reti di 2° livello (come Sicilia, Calabria, Campania, Toscana) che hanno favorito la sopravvivenza di FSMA (e in qualche caso l’arrivo di nuovi entranti), ci sono casi, come quello della Val d’Aosta (4° posto nella classifica del PIL pro capite, 20° posto per densità dem.), delle province di Trento e Bolzano (Trentinto Alto Adige = 1° posto PIL p.c. e 16° per densità dem.) che non sono certamente motivate dall’assenza di banda sui mux o da asfissia commerciale”, continua il portavoce della Media Progress.
Tv locali ancora sentite al Sud
“Lo studio di Media Progress, incrociando diversi indicatori (come la potenzialità economica, la densità demografica e la dimensione territoriale), mostra come vi siano alcune regioni dove la mission delle emittenti locali è ancora sentita, come nel caso della Puglia (associata come area tecnica alla Basilicata, nella classifica del PIL p.c. rispettivamente al 17° e 15° posto a fronte del 6° e 19° posto per densità demografica), della Sicilia (penultima regione per PIL e 8° posto per densità dem.) e della Calabria (ultimo posto classifica PIL p.c. e 13° posto per densità dem.).
Ma anche al centro
Ma è anche il caso dell’Umbria (13° posto classifica PIL p.c. e 15° posto per densità dem.), della Toscana (8° posto per PIL p.c. e 10° posto per densità dem.) e dell’Emilia Romagna (3° posto per PIL p.c. e 7° posto per densità dem.).
Media Progress: modello tv locali in sofferenza in alcune aree del nord e del centro
Viceversa, ci sono regioni dove il modello delle tv locali è in pesante sofferenza, a causa di un sostanziale sopravvenuto disinteresse del mercato: è il caso della citata Val d’Aosta, del Trentino Alto Adige, delle Marche (11° posto sia nella classifica PIL p.c. che per densità dem.) e della Liguria (10° posto classifica PIL p.c. e 4° posto per densità dem.).
Situazioni di difficile interpretazione
Più complessa da decifrare la situazione in aree dove l’assenza di capacità trasmissiva impedisce agli altri indicatori di esprimere i propri effetti: è il caso del Veneto (5° posto per PIL p.c. e per densità dem.) e del Friuli Venezia Giulia (7° posto PIL p.c. e 12° per densità dem.).
Situazioni singolari
Situazioni singolari sono invece quelle della Sardegna (14° posto PIL p.c. e 17° per densità dem.), dell’Abruzzo-Molise (12° e 17° posto nella classifica del PIL e 14° e 18° per densità dem.) dove un riscontrato interesse dell’utenza, al cospetto di capacità trasmissiva disponibile, non trova equilibrio con la possibilità delle imprese di reggere i costi a causa di un mercato pubblicitario quasi completamente assente”, conclude Madaro.
Il caso delle tv locali non locali della Lombardia
“Paradossalmente, risulta estremamente complessa da decifrare la situazione della Lombardia (2° posto per PIL e 1° per densità dem.), con ben 2° reti di primo livello e due di 2° livello. Qui i nostri indicatori fanno fatica a decifrare se il modello delle tv locali abbia ancora un senso oppure no, considerata la scarsa presenza di emittenti concretamente legate al territorio”, conclude l’economista (M.R. per NL)
Foto antenne di Floriano Fornasiero