(La Stampa.it – Paolo Festuccia) – Il «gioco» si fa serio. Da un lato la crisi pubblicitaria, dall’altro i cali degli ascolti. Nel mezzo lo «scontro» tra la pay tv, le televisioni generaliste e una quota pubblicitaria che in Italia, nei momenti più favorevoli, potrà raggiungere anche i dieci miliardi di euro. Di fronte a questo quadro, nella palazzina di Sky in via Salaria a Roma, si preparano alla sfida per il 2009, ma soprattutto, alle battaglie per il futuro. E stavolta, sembra sceso in campo a dettare la linea proprio Rupert Murdoch: a lui quell’innalzamento dell’Iva varato dal governo sul finir dello scorso novembre non è andato proprio giù. Altro, allora, che lettera di pace inviata a Silvio Berlusconi – come alcune fonti riportarono durante i giorni di burrasca – per abbassare i toni. Murdoch ha capito che la posta in ballo è enorme ed è pronto a giocarsi tutte le sue carte. Per il magnate australiano, l’editore globale, lo «squalo» – colui che in meno di un anno ha acquisito il «Wall Street Journal» riportandolo in grande spolvero – la sfida italiana è una piccola goccia nel mare del business televisivo.
Ma per lui è una battaglia che vale la pena di essere combattuta. La sfida si fa a colpi di acquisti, come nel calcio-mercato: del resto, rappresenta uno dei cardini dell’offerta televisiva di Sky. Murdoch sa che per battere la concorrenza e arrestare eventuali emorragie di abbonati dopo il contestato innalzamento dell’Iva (dal 10 al 20%) – solo a fine marzo saranno comunicati i dati degli abbonati – è necessario stare sul mercato, diversificare l’offerta, proporre contenuti ancora più attraenti ai propri clienti. Da qui, la «decisione» di accaparrarsi il meglio tra star, dive e format, anche della cosiddetta tv generalista, sino a ieri «prateria» sconfinata solo per Rai e Mediaset. Da qui, il colpo di Fiorello ma anche l’acquisto dei diritti per il «Sei nazioni» (costati 25 milioni di euro per quattro anni) di Rugby. E in via Salaria scommettono che non finirà qui. Dopo l’approdo dello showman siciliano, ma anche quello di Lorella Cuccarini (condurrà un programma sul ballo) si lavora ad altri grandi appuntamenti. D’altra parte, non è un mistero che già a settembre dello scorso anno su «Sky Cinema» andò in onda il film di Adriano Celentano (restaurato proprio da Sky) «Yuppi du» e che proprio il grande artista, a Venezia, spiegò che con «Sky avrebbe fatto sicuramente altre cose».
Se son rose fioriranno ma certamente le opportunità ci sono. Sky fa sul serio e non intende perdere nemmeno uno dei 4,7 milioni di abbonati italiani che in cinque anni gli hanno consentito di raggiungere un fatturato di 2,4 miliardi di euro. Dunque, via a nuovi programmi e, soprattutto, rivoluzione e miglioramento dei palinsesti. Del resto, a Murdoch – a differenza di Rai e Mediaset – del calo pubblicitario poco importa. Per lui, il vero «core business» è dato dal pacchetto abbonati, che fa lievitare gli utili e crescere le quotazione in borsa di News corps nel mondo. Ma un fatto è indubbio: se Sky cresce e porta via ascolti, la fetta pubblicitaria per gli altri due grandi operatori italiani – la Rai pubblica e Mediaset privata – si riduce sensibilmente. Per i centri media, quelli che propongono pubblicità ai grandi clienti conta, solamente il «Grp», termine inglese che sta per «Gross rating points»: l’indice che fornisce la misura della pressione esercitata sul consumatore da una certa azione pubblicitaria. Per fare soldi, non conta lo share ma solo l’audience. Dunque, la partita si gioca su questo terreno. E se l’audience totale scende perché ogni giorno milioni di telespettatori si trasferiscono sulla pay tv lasciando la televisione in chiaro, anche i ricavi pubblicitari sono destinati a crollare. Proprio per questa ragione c’è chi immagina un’alleanza, in futuro, tra Rai e Mediaset contro lo «straniero» Sky. Con la Rai più servizio pubblico e Mediaset più commerciale. Non è un caso se da mesi si indugia sul nuovo cda di viale Mazzini.