Ripartire il canone tra i soggetti che dimostrino di avere i requisiti per accedervi, cioè l’effettivo svolgimento di servizio pubblico: un’idea che suona rivoluzionaria, quasi sovversiva, ma che per l’ad di La7 Marco Ghigliani, sarebbe la logica conseguenza dell’attività della televisione dell’editore Cairo improntata proprio alla fornitura di un servizio alla collettività. Ghigliani spiega: “non esiste l’assioma che il servizio pubblico debba essere svolto da un’azienda pubblica come la Rai. Noi lo svolgiamo tutti i giorni, con il 30% in più della proposta informativa totale delle reti generaliste, e quasi il 20% in più rispetto alla Rai”. In effetti gli sforzi di La7 nei programmi di informazione sono notevoli e perdurano anche in estate, periodo in cui le altre reti alleggeriscono molto l’offerta: dal lunedì al venerdì l’informazione occupa tutto il palinsesto della mattina con Omnibus (7-9.40) e Coffee break, seguiti da L’aria che tira (anche in versione estiva) alle 11 e dal telegiornale delle 13.30, per proseguire la sera con la seconda edizione del Tg alle 20 e poi In Onda di Luca Telese e David Parenzo che sostituisce Otto e ½ di Lilli Gruber fino all’11 settembre. Questa organizzazione ha permesso a La7 di coprire efficacemente tutti gli eventi importanti, come le elezioni in Francia o le tragedie dell’attentato di Barcellona e del terremoto di Ischia. Non è questa la sede per indagare se ciò basti ad integrare quel requisito meritorio ipotizzato da Ghigliani, ma la proposta dell’ad offre spunti interessanti, benché celi – senza troppo sforzo – posizioni interessate.
Infatti, non vi è dubbio che il servizio pubblico sia una missione che prescinde dal carattere pubblicistico del soggetto che lo svolge, ma la (per ora) moderata protesta di La7 muove forse da considerazioni meno idealistiche e più contingenti, come lo svantaggio che i broadcaster hanno di fronte ad una Rai che gode sia degli introiti del canone, sia di quelli della raccolta pubblicitaria, mercato dove l’azienda di Viale Mazzini sarebbe estremamente concorrenziale (al limite del dumping pubblicitario, cioè la vendita di spazi a costi inferiori ai trend di mercato).
Nessuna obiezione alla necessità che la Rai segua pratiche commerciali corrette sul mercato pubblicitario, ma qualche dubbio resta sulla richiesta di accesso alla ripartizione del canone in virtù dello svolgimento del servizio pubblico: l’imposta della televisione è destinata a sostenere la funzione del servizio alla collettività in quanto tale, oppure l’attività dell’azienda pubblica titolare della concessione per il servizio pubblico in esclusiva? Solo nel primo caso le pretese di La7 potrebbero trovare un fondamento e quest’interpretazione più favorevole non è affatto scontata. Uno spiraglio, sebbene piuttosto stretto, potrebbe essere rappresentato dalla rimanenza del canone, ovvero quella parte che – dal 2018 – il Governo ha a priori deciso di non destinare alla Rai e che potrebbe essere investita in altri tipi di misure contributive. (V.D. per NL)