Si tratta di un fenomeno molto in voga oltreoceano, cominciato nei primi anni 2000 con l’uscita della serie tv Lost, dove la completa fruizione del telefilm non rimase più racchiusa unicamente all’interno dello schermo televisivo (semplicemente seguendo l’uscita di una puntata a settimana ed attendendo quella successiva) ma si poté, per la prima volta, evadere i confini dello show attraverso filler, video on-line, pillole ed estratti esclusivi che completavano il quadro d’insieme della serie fornendo ulteriori indizi al telespettatore.
Da qui alla creazione di blog e gruppi on line dedicati il passo fu molto breve e ben presto ci si ritrovò tra le mani un nuovo fenomeno di impareggiabile importanza comunicativa ed empatica con il telespettatore, che oggi come oggi sfocia proprio nella multidimensionalità della tv stessa e dei suoi contenuti. Gli italiani difatti, guardano la Tv con lo smartphone in mano, anche se c’è chi usa il tablet o il computer per rimanere sempre connesso mentre guarda la propria serie preferita o segue uno dei tanti talent show, per uno scambio, repentino ed assiduo, di informazioni più o meno legate a ciò che sta guardando. È il “second screen”, il secondo schermo che permette a chi guarda un contenuto video, di rimanere contemporaneamente sempre connesso a Internet, ai social network e ai sistemi di chat e messaggistica. Lo smartphone è la tecnologia più utilizzata, spesso perché è possibile interagire persino con il programma in diretta. Non solo televoti ed hashtag, esistono chat riservate ed app ideate apposta per il grande pubblico, lo smartphone quindi risulta il mezzo principale attraverso cui lo spettatore espande la propria esperienza di visione, con un 35,1% sul totale degli intervistati, seguito dal computer che vede un netto 20%. L’interazione con i social media e le chat sono anche una fonte di stimoli per i vari programmi da guardare e per conoscerli ancor prima di vederli in onda. Secondo i dati raccolti dall’osservatorio Social TV 2017 realizzato dal Digital Lab dell’Università La Sapienza di Roma in collaborazione con SWG per preadolescenti (77,7%), adolescenti (70%) e venti-trentenni (80,8%) è molto o abbastanza vero, che ne abbiano identificati alcuni, soprattutto grazie ai social network: ci sono le serie ed i programmi di moda da seguire, che vengono scoperti attraverso le conversazioni, le citazioni ed i meme, o, ancora, la curiosità suscitata dalle reazioni che un particolare episodio di una serie ha originato, per esempio dopo la pubblicazione di un singolo post su Facebook; per non parlare dei lanci promozionali che vengono mandati on-line volutamente su piattaforme come Instagram ed altri social, attraverso interviste ai personaggi, bloopers, trailer e spin-off, per catturare l’attenzione di giovani e meno giovani, a seconda dei target ricercati. Un’importante scoperta è anche quella che vede un 12,2% del campione, dichiarare di usare la ricerca online per verificare se le informazioni fornite dal programma siano vere o false. Mentre il 12,8% si connette per vagliare temi e personaggi trattati e ancora, l’8,6% visita sempre (o spesso) i siti internet menzionati dal programma, particolarità che prevede anche la nascita di un nuovo modo di fare pubblicità. A fronte di questi dati, oramai, la ricerca di nuove occasioni per prolungare il piacere della visione è una consuetudine per il 30% del campione preso in esame. Questo fenomeno, spiegano i ricercatori, ha modificato il pubblico della tv, al punto che oggi “ci troviamo di fronte ad un consumo televisivo che si completa come detto, con una molteplicità di contenuti complementari, parodie, meme, gif, giochi, spoiler e lanci pubblicitari ideati appositamente per espandere il testo televisivo, incuriosendo lo spettatore e stuzzicando sempre di più la sua voglia di accedere ai network televisivi.” (E.M. per NL – fonte Agi.it)