In continua, anche se lenta, diminuzione il tempo dedicato alla tv classica, mentre aumenta del 7% il consumo non lineare fra il 2013 e il 2015. Gli investimenti degli stessi broadcaster si spostano in questa direzione e la partita sembra concentrarsi sempre più sui contenuti.
Continua in maniera lenta ma inesorabile la crescita della fruizione non lineare di contenuti video/televisivi; anche se ancora oggi la televisione classica la fa da padrone, non si ferma la progressiva riduzione del tempo dedicatole in media dagli utenti. Secondo le misurazioni di Eurodata Tv, il tempo dedicato in media al piccolo schermo sta scendendo progressivamente negli ultimi anni in tutto il mondo, Italia inclusa che, nonostante la sua storica e patologica dipendenza dal mezzo che si manifesta persino a livello politico, ha visto ridurre le ore in media ad esso dedicate dagli utenti dalle 3,19 del 2013 alle 3,14 dello scorso anno; il cambiamento aumenta nel caso del pubblico giovane, per il quale il dato varia dalle 2,18 alle 2,04 ore giornaliere. Questo mentre invece i consumi non lineari crescono del 7% nello stesso periodo. Gli stessi broadcaster tradizionali, dopotutto, si sono progressivamente adattati alla situazione vedendosi costretti a creare offerte on demand e riconoscendo, di fatto, la crescita di importanza di differenti esigenze nel loro pubblico. In un certo senso, il palinsesto diventa, per le emittenti televisive, sempre di più una zavorra del tutto non necessaria; lo testimoniano i numerosi canali +1, le offerte on demand con gli stessi contenuti trasmessi linearmente o la possibilità di registrare i programmi come avviene con Sky. Tutti sistemi i quali non fanno altro che diminuire l’influenza esercitata sulla fruizione dei contenuti dalle tabelle di marcia televisive che potevano andar bene nel secolo scorso, ma oggi sono sempre più anacronistiche. Non è un caso che, stando ai dati Nielsen, il 36% degli italiani con una connessione internet sia iscritto a servizi on demand a pagamento, dato che tocca il 50% in Europa e il 65% nel mondo. Non c’è quindi da stupirsi se Mediaset tenta persino di mettersi contro Youtube con il tanto chiacchierato progetto Blasteem, un concorrente diretto del portale dedicato ai video di Mountain View: in un mercato ormai divenuto internazionale, i concorrenti includono anche soggetti come Amazon, Facebook, Snapchat, Google e tanti altri ancora. E con la ricezione del segnale televisivo anche via internet prevista grazie al nuovo standard HbbTV 2.0.1, il concetto di broadcaster rischia di diventare molto sfumato, lasciando che la partita si sposti davvero soltanto sui contenuti, a prescindere dalle piattaforme. Secondo Sergio Del Prete, vicepresidente per i contenuti editoriali di Viacom, gli aspetti essenziali per creare contenuti di successo oggi sono “il branding e il cambiamento da viewer a partner”; il primo testimonia come non basti essere Mediaset, Netflix, Sky o chi per loro per essere seguiti: è necessario che sia il prodotto ad essere noto, al pari (se non di più) del titolare dei suoi diritti. Il secondo punto, invece, coinvolge la dimensione partecipativa dello spettatore, segno che forse anche i media stanno iniziando a recepire quel concetto chiamato crossmedialità e che già da anni è noto al mondo del marketing aziendale. (E.V. per NL)